miércoles, 29 de octubre de 2014

La religione, oppio del popolo

Da Filosofico.net

Il fondamento della critica alla religione é: è l’uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l’uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sè e il sentimento di sè dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l’uomo non è un'entità astratta posta fuori del mondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo punto d’onore spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera. 

La lotta contro la religione è dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. 

Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale.

L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola. La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, dia forma alla sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e, perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. E' dunque compito della storia, una volta scomparso l'al di la della verità, quello di ristabilire la verità dell'al di qua. E innanzi tutto è compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'autoestraneazione umana, smascherare l'autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica. La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo. (MARX, Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico)

Le considerazioni religiose di Feuerbach si intrecciavano con quelle politiche: egli sottolineava, infatti, il carattere pericolosamente conservatore della religione; in essa, l'uomo tende a diventare schiavo, a sentirsi dipendente da un'entità superiore, e uno schiavo incatenato nel "mondo delle idee" diventa inevitabilmente anche schiavo nella realtà materiale, quasi come se oltre ad essere schiavo di Dio diventasse anche schiavo di un padrone materiale. Ne consegue che la liberazione politica dell'uomo dovrà per Feuerbach passare per l'eliminazione della religione: infatti, solo dopo la scomparsa della religione l'uomo cesserà di essere schiavo di Dio e, successivamente, dei padroni materiali. 

Diametralmente opposta è la concezione di Marx, secondo la quale "la religione è l'oppio del popolo": secondo Marx, infatti, l'uomo ricorre alla religione perchè materialmente insoddisfatto e trova in essa, quasi come in una droga ("oppio"), una condizione artificiale per poter meglio sopportare la situazione materiale in cui vive

Per Marx, dunque, non è la religione che fa sì che si attui lo sfruttamento sul piano materiale (come invece credeva Feuerbach), ma, al contrario, è lo sfruttamento capitalistico sul piano materiale che fa sì che l'uomo si crei, nella religione, una dimensione materiale migliore, nella quale poter continuare a vivere e a sperare. Ne consegue che se per Feuerbach per far sì che cessi l'oppressione materiale occorre abolire la religione, per Marx, invece, una volta eliminata l'oppressione, crollerà anche la religione, poichè l'uomo non avrà più bisogno di "drogarsi" per far fronte ad una situazione materiale invivibile. Marx ha praticamente dimostrato che l'alienazione che l'operaio della società capitalistica vive e avverte di vivere sul piano economico, trova il suo equivalente sovrastrutturale in quello che accade al credente sul piano religioso. Ovverosia, "l'operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo "(così nei Manoscritti economico-filosofici). Estraneo appunto perché, pur essendo la merce un suo prodotto, di fatto non gli appartiene, essendo a lui separata giuridicamente la proprietà della fabbrica. Questa alienazione materiale trova il suo riflesso in quella spirituale della religione, la quale recepisce e giustifica, modificando continuamente i suoi contenuti, l'estraniazione materiale del capitalismo. E così, " quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso ". Un legame così esplicito di capitalismo e religione sarà ricorrente in tutta l'opera marxiana, anche se mai sviluppato in maniera analitica. Nel capitalismo, quindi, persino la legge naturale dello sviluppo industriale, che dovrebbe portare direttamente, sul piano spirituale, all'ateismo, diventa motivo di perpetuazione dell'alienazione religiosa. Nel senso che se è vero che " i miracoli divini diventano superflui a causa dei miracoli dell'industria ", è altresì vero che, col capitalismo, i miracoli dell'industria tornano a vantaggio solo di poche persone proprietarie, mentre al lavoratori non resta che continuare a sperare -come vuole la religione- nei miracoli divini, almeno sino a quando essi non si accorgeranno che " non gli dèi, non la natura, ma soltanto l'uomo stesso può essere questo potere estraneo al disopra dell'uomo". Questa è una delle ragioni per cui secondo Marx "la critica della religione" va considerata come "il presupposto di ogni critica". Cioè l'operaio può iniziare a criticare il capitalismo partendo dalla critica della religione (in questo Marx si mostrava erede di tutti gli studi compiuti in Germania dalla Sinistra hegeliana. Viceversa Lenin non avrà bisogno di questo passaggio intellettualistico, in quanto per lui il capitalismo andava criticato per le proprie contraddizioni interne, e questo allo scopo di organizzarne un superamento di tipo politico. La critica della religione è sempre stata considerata da Lenin un aspetto di secondaria importanza, anche se proprio lui pretendeva da parte del partito una propaganda ateo-scientifica). Marx assegnò all'ateismo un valore di " presupposto di ogni critica " perché nei paesi capitalisti qualunque aspetto sovrastrutturale, in aperta contraddizione con quelli strutturali (rivoluzione industriale, macchinismo, dominio della natura, benessere materiale...), si è sempre caratterizzato per il suo stretto legame con l'ideologia religiosa, o comunque con l'illusione di matrice religiosa. Prima del socialismo scientifico ogni morale era di origine religiosa, persino quella del socialismo utopistico, è così ogni diritto, ogni politica, arte o scienza. Il contenuto di tutte le scienze era costretto a esprimersi in un involucro religioso. Riflettendo le contraddizioni antagonistiche della loro epoca, tutte le scienze manifestavano in modo illusorio, cioè sostanzialmente religioso, il loro tentativo di risolverle, e questo avveniva anche quando gli uomini cercavano di emanciparsi dalla religione. Ecco perché sino al socialismo scientifico la lotta contro la religione altro non è stata che la lotta di alcune idee religiose contro altre. Oggi, sotto il capitalismo, le forme ideologiche conservano il loro carattere illusorio pur avendo perso lo stretto legame con la religione (legame che comunque può sempre essere ripristinato, all'occorrenza). Nei confronti della religione la borghesia ha sempre avuto un duplice e apparentemente contraddittorio atteggiamento: di critica, nel momento dell'ascesa al potere economico e politico; di compromesso, nel momento della conservazione di tale potere. Di critica per potersi emancipare dal modo di produzione economico cui la religione era legata (quello feudale); di compromesso (o meglio di strumentalizzazione, per quanto reciproca) per poter impedire alla classe operaia di emanciparsi dal modo di produzione borghese. Nel Terzo mondo, ove la critica della religione non ha raggiunto le punte ateistiche dell'Occidente, quando l'operaio credente abbraccia ideologie di tipo socialista (ad esempio la Teologia della liberazione) facilmente gli viene attribuito dalla chiesa l'appellativo di "eretico" ed ovviamente lo si minaccia di "scomunica". Un atteggiamento così autoritario, da parte della chiesa romana, è stato tenuto in Italia e per buona parte d'Europa almeno sino agli anni '70. Di qui la decisione, da parte degli operai credenti, di abbandonare la religione, proseguendo in maniera laica la propria opposizione al capitalismo. Se la chiesa cattolica non si fosse legata così strettamente agli interessi del capitale, probabilmente gli operai cattolici avrebbero smesso d'essere credenti con meno facilità, o forse avrebbero contestato il capitalismo con meno decisione. In ogni caso questo spiega il motivo per cui nel socialismo il regime di separazione di Stato e chiesa è un aspetto sovrastrutturale necessario alla socializzazione dei mezzi di produzione. Certo, se la religione non si fosse compromessa nel difendere il capitalismo (o il feudalesimo), il legame tra i due aspetti (separazione giuridica e collettivismo economico) potrebbe anche non essere indispensabile, ma è fuor di dubbio che là dove esistono più religioni (senza peraltro considerare l'ateismo), il socialismo non può che optare per il regime di separazione. A Marx comunque non bastava l'emancipazione meramente "politica" dalla religione (come per Bauer); voleva anche quella umana, e questo inevitabilmente implicava il rovesciamento dei rapporti produttivi, in quanto l'umano per lui coincideva col sociale e non solo -come per Feuerbach- con la coscienza personale. L'atteggiamento dei confronti della religione andava privatizzato, ma non quello nei confronti della società che produce l'illusione religiosa. La religione si pone sempre laddove esistono delle contraddizioni socioeconomiche basate sui conflitti di classe. Quando le classi antagonistiche si servono della religione politicamente (come fenomeno sociale) o ideologicamente (come convinzione personale), esse lo fanno o per illudersi (se sono oppresse), o per illudere (se invece opprimono). La religione infatti è allo stesso tempo -come dice Marx- " l'espressione della miseria reale e la protesta contro questa miseria " (ovviamente sempre nell'ambito dell'illusione). Rovesciare i rapporti di produzione antagonistici significa " rinunciare non solo alle illusioni sulla propria condizione, ma anche a una condizione che ha bisogno di illusioni ". Il proletariato -secondo Marx- sa che la sua emancipazione umana è legata al possesso dei mezzi produttivi e se questo obiettivo riesce a conseguirlo non può trasformarsi in un nuova classe dirigente che usa la religione in maniera strumentale, perché vuol rendere partecipe tutta la società di questo suo possesso. Sì, perchè la religione non è altro che uno strumento per tener buono il popolo, per impedire che esso si ribelli di fronte alle disuguaglianze: la religione promette un mondo in cui regnerà l'uguaglianza e non fa niente perchè essa regni in questo mondo, che è poi l'unico, il solo, il vero mondo. L'uguaglianza il proletariato la vuole immediatamente, in questo mondo, ed è pronto ad ottenerla con una rivoluzione che distrugga il capitalismo e le ingiustizie da esso derivate. Ma Marx sa bene che non è facile smascherare la religione; essa non è crollata nei secoli, mai nessun impero ha durato tanto: tale successo è riconducibile all'essenza stessa dell'uomo, il quale sente l'esigenza di credere in qualcosa, non può accettare che la vita non abbia un senso e sente il dovere di conferirgliene uno, inventando, con un'aberrazione fantastica, la religione: ecco perchè la religione è ' la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poiché l'essenza umana non possiede una realtà vera '. Ma, inventatala, l'uomo non riesce più a distaccarsene, proprio come, entrati nel giro, non ci si riesce più a distaccare dall'oppio: ecco perchè 'la religione è l'oppio del popolo '. Essa nasce come contro-offensiva alle ingiustizie del mondo, come tentativo di trovare una felicità immaginaria, un riparo da questo mondo crudele, ed è per questo che ' eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale', in modo che essa possa regnare in questo mondo.


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