domingo, 4 de diciembre de 2016

La Carta Costituzionale è stata ed è uno strumento di dominio della borghesia, sfruttatrice parassita controrivoluzionaria guerrafondaia

Fonte: Rivoluzione comunista, Supplemento del 01/11/2016

Vedasi anche:
Da 40 anni lavoratori/ci e giovani sono subissati da una caterva di leggi di razzia del lavoro e del salario, di rapina fiscale (Irpef, Iva, accise) sui redditi più bassi, di pacchetti di sicurezza e norme terroristiche in materia penale, di sanzionismi a tutto spiano. Il referendum del 4 dicembre una bega tra combriccole affaristiche che si alternano al carro governativo a servizio di un potere che va demolito da cima a fondo.

Abbasso il referendum! La Costituzione e tutta l’impalcatura giuridica istituzionale sono una catena da spezzare.

Per il 4 dicembre 2016 il governo ha fissato il referendum confermativo della legge di modifica della parte II e del titolo V della “Costituzione” approvata dalla Camera il 12 aprile 2016 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016 n.88. La legge è figlia del disegno di legge governativo Boschi – Renzi. Il referendum è necessario quando una legge di rango costituzionale viene approvata, come nel presente caso, con una maggioranza inferiore ai due terzi. Il 12 aprile il voto favorevole è stato espresso da 361 deputati su 368 votanti mentre tutto il resto è rimasto appositamente fuori dall’aula.

Prima di esaminare i contenuti normativi della legge, per stabilire di cosa si tratta e che significato può avere votare “si” o “no”, è opportuno dare un’occhiata d’insieme alla “Costituzione” e ai tentativi e atti di modificazione che l’hanno riguardata in precedenza.

Quando come è nata e che cos’è la “Costituzione” della Repubblica Italiana 

La “Costituzione” è nata dopo la seconda guerra mondiale. La borghesia italiana, dopo avere portato col regime fascista le masse al massacro, sconfitta si è collocata sotto l’ala dell’imperialismo americano. Il 2 giugno 1946, caduta la monarchia sabauda in seguito al referendum, viene formata una “assemblea costituente” composta da 556 membri, la quale il 22 dicembre 1947 approva il testo finale della “costituzione”, che, promulgata il 27, entra in vigore il 1° gennaio 1948. La “Carta” costituzionale è il prodotto del compromesso tra forze politiche monarchiche repubblicane laiche cattoliche, rappresentate dai partiti liberali democristiani socialisti comunisti togliattiani e da formazioni operanti nei “comitati di liberazione nazionale”. Tutte accomunate dalla conservazione del sistema capitalistico, dall’allineamento “occidentale”, dal livore controrivoluzionario nei confronti del proletariato.

La “Carta” si compone di 139 articoli e di18 disposizioni transitorie e finali. È suddivisa in un preambolo, contenente i principi fondamentali (tra cui figurano i diritti inviolabili dell’uomo, il principio di uguaglianza, il diritto al lavoro, il ripudio della guerra), che va dall’art.1 all’art. 12; e in due parti. La prima parte, dedicata ai diritti e ai doveri dei cittadini, comprende gli articoli 13 – 54. La seconda, dedicata all’ordinamento della Repubblica (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Corte Costituzionale, Magistratura, Leggi costituzionali, Rapporti tra Stato Regioni Province e Comuni), abbraccia gli articoli che vanno dal 55 al 139. Questa seconda parte, detta “ordinamentale”, chiude con uno sbarramento invalicabile in virtù del quale “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

La crisi di governabilità e l’ipocrisia del marciume parlamentare e accademico sulla “riforma istituzionale”

L’impianto ordinamentale della “Carta” ha retto, sotto il profilo dell’agibilità governativa, cioè della governabilità, fino alla metà degli anni settanta. Poi i governi non solo traballano o durano poco; ma nascono moribondi. Bettino Craxi, giunto alla carica di presidente del consiglio nel 1983, naviga in piena “crisi di governabilità”. E strolica di uscirne mediante una “riforma istituzionale” consistente nell’elezione diretta del Presidente della Repubblica e in un premio di maggioranza a quei partiti che si accordino su un programma comune. Ma stabilire la regola del giuoco, il modo di governare, non dipende da una tecnica di ingegneria costituzionale, bensì dalla concreta possibilità di appianare i contrasti e gli squilibri tra le diverse componenti del capitale monopolistico finanziario. Possibilità legata al prevalere dell’azione governativa sulle resistenze delle rappresentanze parlamentari.

Detto questo va aggiunto che negli anni ottanta, col predominio della finanza e la trasformazione della politica in affare e dei partiti parlamentari in “agenzie affaristiche”, la crisi di governabilità si è trasformata in “crisi istituzionale”, in quanto avendo detti partiti perso ogni autonomia politica e agendo come “rotelle statali” invece di mediare collidono. Quindi, a ogni tornata elettorale qualunque tipo di governo, delegato a stabilizzare l’egemonia dell’oligarchia finanziaria sulle altre frazioni della borghesia e sulle classi medie, si è trovato davanti a risse intestine senza via d’uscita.

La bicamerale degli inganni reciproci

Dopo la prima metà degli anni novanta la crisi di direzione borghese diventa oggetto di trattativa tra le due coalizioni maggioritarie del sistema politico – parlamentare: del “Polo “ e dell’”Ulivo”. Nella primavera del 1996 si forma una commissione extraparlamentare denominata “bicamerale”, rappresentata da una parte da Berlusconi dall’altra da D’Alema. Dopo varie sedute nel febbraio 1997 la commissione sforna un compromesso sull’elezione diretta del capo dello Stato, sul semipresidenzialismo, su un rudimentale senato federale, sul federalismo in materia di competenze Stato – Regioni. Il testo approvato da D’Alema – Berlusconi – Fini – Marini, prevede che: a) il presidente della repubblica venga eletto direttamente dagli elettori, duri in carica sei anni; e, tra gli altri poteri, abbia quello di nomina del “primo ministro” e su sua proposta dei ministri; b) il governo sia costituito dal “primo ministro” e dai ministri; e il primo venga designato sulla base dei risultati delle elezioni alla Camera; c) la Camera riduca i suoi componenti a 400; il senato a 200, con la costituzione al suo interno di una “commissione delle autonomie“ composta da senatori e rappresentanti delle regioni province e comuni. Questo il testo approvato sulla forma di Stato e di governo.

Sulla giustizia resta come traccia base la c.d. bozza Boato: unità funzionale della magistratura, accesso per concorso, due sezioni distinte nel CSM per giudici e PM, obbligatorietà dell’azione penale, terzietà del giudice. Sul sistema elettorale c’è solo un ordine del giorno firmato dai capigruppo che prevede una votazione in due turni: nel primo si assegna il 55% dei seggi col maggioritario e il 25% col sistema proporzionale; nel secondo si assegna secondo una formula da definire il restante 20% come premio di maggioranza. È il primo progetto di modifica costituzionale e della legge elettorale. Ma esso non viene portato avanti per la reciproca diffidenza delle parti contraenti. Sul nostro giornale di aprile – settembre qualifichiamo l’intesa come compromesso politico impotente in quanto, nel riordino della seconda parte della Costituzione (artt. 55-139) accoglie lo spirito autoritario individualistico e maggioritario di destra, lo fa solo in parte e in modo confuso. E segna quindi un contorcimento ulteriore della crisi di direzione borghese.

La riforma del titolo V della Costituzione

Il primo intervento su una porzione della “Carta” viene operato nel 2001. Sul finire della legislatura il governo D’Alema vara la “riforma federale dello Stato”. L’8 marzo Palazzo Madama licenzia in quarta e definitiva lettura la modifica dell’ordinamento amministrativo e territoriale dello Stato, sostituendo gli artt. 114-133 della Costituzione (Le Regioni, le Province, i Comuni) con una nuova disciplina che aggiorna e ritocca la “struttura dell’ordinamento, i poteri dello Stato e delle Regioni, la ripartizione delle funzioni amministrative, l’autonomia finanziaria, l’intervento sostitutivo dello Stato” (la legge viene pubblicata sulla G. U. n. 59 del 12 marzo). La modifica è l’epilogo di un decennio di diatribe tra le varie agenzie politiche di contrapposizioni e compromessi tra Ulivo e Polo. E passa alla cronaca con il titolo altisonante di riforma federale dello Stato o di devoluzione (trasferimento di poteri dallo Stato alle Regioni). Si tratta di una riforma che non ha nulla di “federale”, che anzi potenzia le funzioni centrali dello Stato, che promuove i divari territoriali, aggrava le disuguaglianze e la situazione meridionale. 

Per ragioni di spazio non possiamo riportare il nuovo assetto dei rapporti Stato – Regioni da noi analizzato (rimandiamo ai nostri “supplementi” dell’epoca); ci limitiamo a richiamare la formulazione della nuova relazione tra Repubblica – Stato – Roma capitale. L’originario art. 114 stabiliva: «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni». Il nuovo stabilisce: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento». Dalla nuova formulazione emerge: a) la presenza nella struttura dell’ordinamento dei nuovi enti territoriali formatisi negli ultimi 30 anni; b) la netta distinzione tra Repubblica e Stato, che c’è sempre stata sul piano accademico-dottrinale ma che ora viene resa ufficiale, facendo risaltare il ruolo di apparato ordinatore dello Stato rispetto alla forma di convivenza dei cittadini; c) la designazione di Roma come capitale della Repubblica per simboleggiare l’unità del paese. E a sottolineare il nostro giudizio di allora: “la riforma federale è un aborto neoliberista, la devoluzione uno strumento di gretti interessi locali” ; nonché l’elenco degli effetti che ne sarebbero scaturiti: a) riflette e stimola le disuguaglianze e le differenziazioni sociali e territoriali; b) favorisce le regioni più forti; e, con ciò, il negoziato conflitto tra governo centrale e governatori locali; c) riconosce ed esalta il regionalismo egemonico sia nei rapporti tra Regioni che tra enti locali di appartenenza con la sequela di attriti e conflitti territoriali che ne conseguono; tende a localizzare la lotta politica e sociale; e) territorializza la gratuitificazione del lavoro spingendola alle condizioni peggiori di mercato; f) incrementa, infine, la burocrazia locale; tende quindi a rendere più duttile lo statalismoreazionario.

La revisione berlusconiana del 2005

La coalizione berlusconiana, nella fase iniziale della sua crisi politica, progetta il suo modello di revisione costituzionale. Il 23 marzo il Senato approva (con 162 voti a favore, 14 contrari; mentre gli “ulivisti” escono dall’aula) tale modello. Esso prevede: 1º) Premier forte eletto a suffragio diretto; con potere di nominare e revocare i ministri e di sciogliere la Camera. 2º) riduzione dei deputati da 630 a 500 componenti; e del Senato Federale da 315 a 252 eleggibili in ogni regione contestualmente ai Consigli; 3º) la Camera approva le leggi riservate allo Stato; il Senato ha trenta giorni per proporre modifiche; ma la parola definitiva spetta alla Camera; il Senato invece esamina le leggi sulle materie concorrenti, riservate alla competenza dello Stato e delle Regioni, la Camera ha 30 giorni per fare modifiche; ma l’ultima parola spetta al Senato; infine Camera e Senato legiferano alla pari sui diritti civili e sociali; 4º) alle Regioni viene affidata la legislazione esclusiva su: sanità, organizzazione scolastica e definizione dei programmi scolastici di interesse specifico della Regione, polizia amministrativa regionale e locale. Il Governo può impedire una legge regionale quando questa pregiudica l’interesse nazionale; 5º) al Presidente della Repubblica non è consentito, né di dare l’incarico di formare il governo, né di sciogliere le camere; 6º) i 15 componenti della Corte Costituzionale sono nominati: 4 dal Senato; 3 dalla Camera; 4 dal presidente della Repubblica; 4 dai giudici; 7º) i 30 membri del CSM vengono eletti: 20 dai magistrati; 5 dalla Camera; 5 dal Senato federale. Il modello non passa al vaglio del referendum, che lo boccia col 61% dei votanti.

I contenuti della legge Boschi - Renzi

Veniamo infine alla bozza governativa di recente approvazione. Il testo approvato si articola nei seguenti punti. 

1°) Ruolo della Camera (art.55): ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la nazione; la camera è titolare del rapporto di fiducia con il governo, ne controlla l’operato, esercita la funzione di indirizzo politico e svolge la funzione legislativa. 

2°) Funzioni del Senato: il Senato rappresenta le istituzioni territoriali; non è più elettivo; non vota la fiducia al governo; è formato da 100 membri, 95 scelti dai consiglieri regionali e tra i sindaci della regione, 5 per altissimi meriti dal Presidente della Repubblica e durano in carica 7 anni. 

3°) Funzione legislativa mista tra Camera e Senato (art. 70): Tra le due camere sono previste quattro forme di procedura mista in materia legislativa: a) le leggi costituzionali sono approvate da entrambe le camere; b) sulle leggi ordinarie il Senato può eventualmente esprimersi dopo che la Camera le ha approvate, ma quest’ultima ha l’ultima parola a maggioranza semplice; c) per un elenco di materie qualificate “tutela dell’interesse nazionale” se il Senato si esprime a maggioranza assoluta la Camera può ignorare la deliberazione ma votando anch’essa a maggioranza assoluta; d) il Senato può proporre una legge alla Camera votandola a maggioranza assoluta ma la Camera può ignorare la proposta a maggioranza semplice.

4°) Elezioni del Presidente della Repubblica (art. 83): viene eletto da deputati e senatori ed occorrono due terzi per i primi tre scrutini; tre quinti dal quarto, dell’assemblea; tre quinti dei votanti dal settimo.

5°) Voto a data fissa e giudizio preventivo di costituzionalità: il governo può chiedere di votare entro 70 giorni una legge considerata essenziale per l’attuazione del proprio programma. In materia elettorale un quarto dei deputati e un terzo dei senatori possono chiedere alla Consulta, prima della promulgazione, la valutazione di legittimità delle nuove norme.

6°) Leggi di iniziativa popolare (art. 71): una prossima legge costituzionale stabilirà le condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e di indirizzo nonché di altre forme di consultazione.

7°) Titolo V Costituzione: viene soppressa la competenza concorrente tra Stato e Regioni; cresce l’elenco delle materie di competenza esclusiva statale; l’art. 117 elenca 21 capitoli di competenza esclusiva; viene introdotta la clausola di supremazia.

8°) Deliberazione dello stato di guerra: è presa dalla sola Camera ma a maggioranza assoluta. E la stessa camera può prorogare la sua durata in caso di guerra.

Rispetto ai precedenti progetti di revisione costituzionale questo del duetto Boschi – Renzi non ha fatto leva sui due piatti forti che, dagli anni ottanta, informano la riforma costituzionale: “premierato” (primo ministro forte) ed elezione diretta del Capo dello Stato. Renzi pensa alla leadership della Camera, di cui viene esaltata la centralità, puntando ad aprirsi la strada con la legge elettorale confezionata ad hoc (l’Italicum).

Legge formale e politica reale

Ma queste curve e piroette sono irrilevanti politicamente. Tutto il senso, significato, di diritto costituzionale statuale giurisprudenziale delle “riforme istituzionali” sta nella legittimazione di prassi, di metodologie dispotiche e autoritarie di governo e di potere in atto da decenni; nonché nell’evidenziare i “valori portanti” su cui deve ruotare il sistema normativo: “rendita finanziaria” e “interessi nazionali” cioè interventi nazionalistici. Facciamo un esempio di non lontana memoria: il 13 novembre 2011 Giorgio Napolitano crea il governo Monti–Fornero fuori da ogni ambito costituzionale; mettendo in atto una rottura istituzionale (un “colpo di Stato” bianco). Il nuovo “direttorio extraparlamentare che fa politica con forza di legge”, come l’abbiamo denunciato a caldo, oltre a espropriare di anni di pensione centinaia di migliaia di dipendenti vicini all’età pensionabile, ha costituzionalizzato il “fiscal compact” , un modo di garantire lo strozzinaggio finanziario interno ed estero contro la massa del popolo. È dagli anni ’80, per non andare più indietro, che i governi del nostro paese svuotano ed espropriano le masse salariate dei diritti acquisiti; estendono il sistema finanziario truffa; attuano il lavaggio normativo di leggi dichiarate illegali; legalizzano la manipolazione privata del territorio e la svendita del “patrimonio pubblico”; trasformano le emergenze in affari; rimodellano gli apparati istituzionali (legislativi, giudiziari, burocratici) alla verticizzazione governativa. In una parola agiscono come strumenti di un potere criminale. Per tutto questo il “si” o il “no” al referendum del 4 dicembre – necessario come detto per convalidare o meno la riforma – è una disputa tra congreghe di palazzo, che spesso si cambiano di posto, per acquisire le posizioni di comando. E quindi è una presa in giro per giovani e lavoratori.

Concludendo la scelta del “si” o del “no” non pone un’alternativa tra “peggio “ o “meno peggio”; è una alternativa reazionaria tant’è che il “no” è strombazzato dalle facce di tolla ordiniste e doppiogiochiste da Berlusconi ai fascio – leghisti e grillini. Il compito dei proletari e dei rivoluzionari
è quello di sabotare il referendum e prendere iniziative di lotta contro il governo e il potere statale.
--- 
«Questa “Carta” è stata sfigurata via via, nel corso della Seconda Repubblica dalla legge elettorale maggioritaria, che dopo il tentativo fallito del 1953 [la legge truffa, secondo le “sinistre” di allora, ndr], è diventata la prima legge elettorale truffa della repubblica [il “Mattarellum”, ndr], peggiorata nel 2006 dal famigerato “porcellum”, a sua volta in via di modifica in termini aggravati; dalla decretazione di urgenza; dalla modifica, ad opera del governo Monti, dell’art. 81 che in nome del “fiscal compact” impone l’obbligo, deciso da Bruxelles, di ridurre il debito pubblico di un ventesimo l’anno per 20 anni a partire dal 2014; dalla prassi presidenzialista. Questa prassi spinge a modificare la forma di Stato, la forma di governo e il cameralismo perfetto. Quindi la “revisione costituzionale” investe e stravolge i cardini della “Carta”, sfuggendo per sovrammercato al percorso per le modifiche costituzionali prescritto dall’art. 138, con l’obiettivo di legalizzare i nuovi dispositivi di direzione e di comando a favore di ristretti gruppi di potere». [Da "Combattere la repubblica presidenziale nella prospettiva del potere proletario", Milano, 2014, p. 39, Edizione a cura di Rivoluzione Comunista, P.za Morselli 3, 20154 Milano. E-mail: rivoluzionec@libero.it, Sito web: http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/]
_________________ 

Para un blog es muy importante que el lector haga el esfuerzo de clicar en los botones sociales "Me gusta", "Tweet”, “G+”, etc. que están por debajo o a lado. Gracias.

Per un blog è molto importante che il lettore faccia lo sforzo di cliccare sui tasti social "Mi piace", "Tweet", “G+”, etc. che trovate qui sotto o a lato. Grazie

No hay comentarios :

Publicar un comentario