lunes, 9 de febrero de 2004

Il dollaro, l'euro, il petrolio e l'invasione nordamericana

Attilio Folliero e Cecilia Laya, Caracas, 09/02/2004 – Ultimo aggiornamento 10/02/2006

Pubblicato in numerosi siti, tra cui Pacelink

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L'invasione dell'Iraq da parte degli USA e suoi alleati, fu giustificata da motivazioni, poi rivelatesi infondate, che l'Iraq era in possesso di armi di distruzione, in grado di porre in pericolo la sicurezza dell'intero occidente.

La scusa per la prossima invasione dell'Iran si fonda sulla convinzione che questo paese stia sviluppando armi di carattere nucleare. Secondo noi non ci sono dubbi che ci sarà una invasione dell'Iran ed una successivo possibile attacco al Venezuela, perché le cause vere sono ben più profonde e praticamente necessarie per la sopravvivenza stessa della superpotenza americana.

Ma andiamo per ordine. Se le cause non sono quelle annunciate, quali sono i veri motivi che rendono necessarie queste guerre costose e sanguinose? Il petrolio? Indubbiamente Iraq, Iran e Venezuela sono paesi petroliferi ed il petrolio, nel nostro sistema capitalistico attuale è la merce più importante. Si è detto - tra le altre - che la causa vera di queste guerre sia il controllo della produzione del petrolio. Anche questa è una ragione, che per quanto valida, non giustifica totalmente guerre così costose e sanguinose.

Per capire cosa c'è dietro le invasioni dell'Iraq e delle possibili invasioni dell'Iran e del Venezuela, occorre analizzare la situazione economica degli USA.

Gli Usa si affermano come potenza mondiale alla fine dell'ottocento, a seguito delle guerre ispano-americane (1898) e del Grande Crack del 1873 e la successiva depressione che trascinò verso il declino l'impero inglese. Ma è con la seconda guerra mondiale che si afferma come grande superpotenza economica e militare. Nell'estate del 1944, quando le sorti della guerra erano già segnate, le grandi potenze occidentali si riunirono in una piccola cittadina americana, Bretton Woods, per accordarsi su un nuovo sistema monetario internazionale. Era necessario pensare all'imminente fine della guerra e al modo migliore per regolare i commerci mondiali. Il Gold Standard, il sistema monetario basato sulla convertibilità di tutte le monete in oro secondo una parità fissa, non rispondeva più alle esigenze di un capitalismo sempre più lanciato verso la conquista di nuovi e più ampi mercati.

A Bretton Woods furono presentati due progetti per il futuro sistema monetario internazionale. Il primo, di parte britannica, portava la firma di Keynes, che prevedeva la costituzione di una banca centrale mondiale che avrebbe avuto il potere d'intervenire sui mercati per regolare i rapporti tra debitori e creditori. La banca doveva regolare tali rapporti tramite l'emissione di una propria moneta, che stando allo stesso keynes doveva prendere il nome di Bancor, ovvero "Oro Bancario".

Il secondo progetto fu redatto dal sottosegretario al tesoro americano, Harry Dexter Withe, che prevedeva, invece un semplice fondo di stabilizzazione dei tassi di cambio. Il risultato raggiunto fu un compromesso fra i due progetti iniziali. Il capitalismo si dotava di due organismi finanziari internazionali, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, che avevano il compito di coordinare le politiche economiche dei singoli stati nazionali, soprattutto in una materia delicata come quella monetaria. Nonostante siano passati oltre 60 anni, tali organismi finanziari, gestiscono tuttora il sistema finanziario mondiale. In sostanza il sistema monetario nato a Bretton Woods era imperniato sul ruolo centrale del dollaro, l'unica moneta che poteva essere convertita in oro. La banca centrale americana, la Federal Reserve, s'impegnava a convertire la propria moneta in oro secondo una parità stabilita dagli stessi accordi di Bretton Woods.

Gli Stati Uniti, con la vittoria nella seconda guerra mondiale, pongono le basi per controllare l'intera economia mondiale, relegando ad un ruolo secondario Giappone e Germania, i due principali antagonisti. L'Unione Sovietica, l'altra potenza imperialistica uscita vincitrice dal conflitto, in seguito al trattato di Yalta, esercita la propria egemonia sull'Europa orientale.

Con gli accordi di Bretton Woods il dollaro diventa lo strumento monetario utilizzato negli scambi commerciali internazionali. Ricordiamo che nel 1950 la produzione statunitense rappresentava quasi il 50% dell'economia mondiale. Gli Stati Uniti, oltre ad essere il principale produttore di merci del mondo,  avevano in mano anche il controllo assoluto della politica monetaria su scala internazionale. Infatti, con il sistema costruito a Bretton Woods, gli Stati Uniti, non solo avevano imposto agli altri paesi l'utilizzo del dollaro nei commerci internazionali, ma questi erano obbligati ad intervenire sul mercato per mantenere la parità della propria moneta rispetto a quella americana. Se gli Stati Uniti immettevano sul mercato una quantità di dollari superiore alle necessità dei traffici commerciali, cosa che puntualmente si è verificata, gli altri paesi erano obbligati ad acquistare i dollari in surplus per mantenere in equilibrio l'intero sistema monetario. Fino a tutti gli anni sessanta gli Stati Uniti mantengono il dominio incontrastato sui mercati internazionali. Sono il maggior paese esportatore al mondo e presentano ogni anno una bilancia commerciale ampiamente in attivo. Le industrie americane, oltre a poter usufruire di un mercato interno di dimensioni continentali che permette loro di realizzare grosse economie di scala, sono le più competitive sui mercati internazionali.

Ovviamente, allo strapotere economico si accompagna lo strapotere militare: gli USA s'impegnano a difendere militarmente gli interessi del capitalismo occidentale (ossia i propri) dalla presenza minacciosa dell'altro polo imperialistico guidato dall'URSS. L'Europa occidentale, tra cui spicca la Germania,  ed il Giappone liberi da qualsiasi impegno di natura militare, possono concentrare tutti gli sforzi nella ricostruzione degli apparati produttivi. In questi paesi, negli anni cinquanta e sessanta, il prodotto interno lordo cresce ad un ritmo del 7-8% annuo. In conseguenza di tale crescita, il peso economico di Germania e Giappone, nel contesto dell'economia mondiale, assume una rilevanza sempre maggiore. Gli Stati Uniti, pur essendo ancora dominanti sui mercati mondiali, finiscono per essere minacciati dall'ascesa economica giapponese ed europea. Alla fine degli anni sessanta, l'industria tedesca e giapponese supera in competitività quella americana. Nel 1969, in seguito al rafforzamento dell'economia tedesca rispetto a quella americana, s'era sviluppata sui mercati monetari una fortissima pressione sul marco che aveva costretto la Bundesbank ad assorbire ingenti quantità di dollari allo scopo di mantenere le parità esistenti.

Nonostante l'intervento, le autorità monetarie tedesche nell'ottobre dello stesso anno furono costrette ad interrompere la politica d'acquisto di dollari e a far fluttuare il valore del marco, che iniziava a sperimentare una rivalutazione crescente. Con la manovra tedesca il sistema di Bretton Woods subiva un durissimo colpo, cominciava ad insinuarsi il dubbio che gli Stati Uniti non potevano più garantire la convertibilità in oro del dollaro. La rivalutazione del marco non placò i movimenti speculativi a favore della moneta tedesca e in seguito al continuo peggioramento della bilancia dei pagamenti statunitense, aumentarono gli afflussi di dollari sul mercato tedesco. Nel maggio del 1971 le pressioni sul marco erano diventate così forti da indurre le autorità tedesche a rivalutare per la seconda volta la propria moneta. In questi mesi la Federal Reserve fu letteralmente invasa dalle richieste di conversione di dollari in oro. Il presidente americano Nixon il 15 agosto del 1971, per evitare che le casse della Federal Reserve si svuotassero completamente delle riserve auree, dichiarò unilateralmente la sospensione della convertibilità del dollaro. Si poneva fine dopo ventisette anni al sistema monetario che aveva garantito lo sviluppo più portentoso dell'economia capitalistica statunitense. La rottura dei trattati di Bretton Woods poneva fine ad un sistema di cambi fissi, aprendo la strada a continui terremoti valutari. Nel dicembre del 71 i rappresentanti del Gruppo dei Dieci si riunirono a Washington per negoziare le nuove parità monetarie. Era la prima volta, in questo secondo dopoguerra, che il riallineamento monetario avveniva su basi multilaterali; in questa sede la moneta tedesca si rivalutò di un altro 13,6% rispetto al dollaro e alle altre valute.

Nel secondo dopoguerra il commercio internazionale s'era strutturato in maniera tale da utilizzare esclusivamente la moneta americana; tutto il mercato delle materie prime, e tra queste il petrolio, avveniva ed avviene esclusivamente in dollari. Sono questi i motivi che hanno permesso al dollaro, nonostante la rottura dei trattati di Bretton Woods, di continuare a svolgere la funzione di moneta mondiale. Non ha perso la fiducia dei mercati internazionali, e le riserve delle banche centrali continuarono ad essere costituite in dollari. Quindi anche dopo la rottura dei trattati di Bretton Woods, gli Stati Uniti, pur non essendo più la grande superpotenza economica mondiale, ha continuato a dominare il panorama economico attraverso il dollaro.

Se alla fine della seconda guerra mondiale gli Usa controllavano praticamente la metà della produzione mondiale, oggi tale quota è scesa al di sotto del 20%. Con l'avvento dell'EURO sulla scena monetaria internazionale e la continua svalutazione del dollaro, alcuni paesi hanno ventilato l'ipotesi - e qualcuno ha anche messo in atto - dell'abbandono del dollaro come unica moneta di scambio. Tra questi paesi, ci sono alcuni paesi produttori di pertrolio, il principale prodotto del mercato mondiale: Iraq, Iran e Venezuela, oltre a Cina, India, Russia, Siria e Corea del nord. L'iraq nel novembre del 2002 trasferisce in Euro tutte le sue riserve internazionali; l'Iran va nella stessa direzione; il Venezuela è ancora più radicale, oltre ad iniziare una politica di scambi commerciali con gli altri Stati, evitando l'uso di una moneta, ossia fornisce pertolio in cambio di altre merci, propone la creazione di una banca e di una moneta latinoamericana.

Come abbiamo visto gli USA non sono più la grande potenza economica di un tempo: la quota di commercio mondiale, che alla fine della seconda guerra mondiale era praticamente del 50% è scesa sotto il 20%. Il suo potere continua a fondarsi quasi esclusivamente sull'utilizzo del dollaro come moneta di scambio. Cosa succederebbe all'economia statunitense, se a livello mondiale venisse abbandonato il dollaro come moneta di scambio? Un crollo dell'economia statunitense ed una crisi irreversibile. Se si adottasse, ad esempio l'Euro, quale moneta di scambio, tutti gli Stati, che oggi hanno le proprie riserve in dollari, si vedrebbero costretti a venderli per rifornirsi di euro. Ciò determinerebbe un crollo del valore del dollaro, una enorme inflazione negli USA ed una crisi economica, praticamente irreversibile, con il declino definitivo dell'economia statunitense. Ovviamente non ne rimarrebebro immune le altre economie mondiali, soprattutto quelle intimamente legate all'economia statunitense, come italiana e Inghilterra.


Bisogna considerare anche un altro aspetto dell'economia statunitense, ossia l'enorme debito pubblico. Gli alti tassi di interesse e l'enorme afflusso di capitali sono serviti anche a finanziare il debito pubblico. Attualmente il debito pubblico statunitense ammonta a 7.500 miliardi di dollari e se a questa cifra aggiungiamo il debito delle famiglie americane, altri 6.000 miliardi di dollari ed il debito delle imprese, 13.000 miliardi di dollari, il debito totale statunitense è di circa 30.000 miliardi di dollari, pari al 300% dell'intero PIL. Per avere una idea della gravità della situazione è sufficiente il paragone dello stesso indice al tempo del grande crack del 1929. All'epoca il debito totale USA era del 240%. Per gli USA e per la sua economia, la sua stessa sopravvivenza è intimamente legata al fatto che il dollaro continui ad essere utilizzato come moneta di riserva di tutti gli Stati e principale moneta per gli scambi commerciali internazionali.

Perché la guerra all'Iraq? Perché aveva armi di distruzione? Per controllare il mercato petrolifero? No. Il regime di Saddam Hussein, tra l'altro posto al potere dagli stessi statunitensi, non viene rovesciato neppure durante la prima guerra del golfo. Poteva essere facilmente sconfitto da Bush padre, ma viene lasciato al potere. Quando il regime iraqueno annuncia il passaggio all'Euro, la potenza statunitense non può far altro che intervenire militarmente. Il problema è che l'Iraq, stava spingendo all'interno dell'OPEC, di cui è paese membro, per abbandonare l'utilizzo del dollaro quale moneta di scambio per il mercato petrolifero. L'OPEC copre circa il 40% della produzione mondiale di petrolio ed i paesi membri possiedono l'80% delle riserve totali, quindi se questa organizzazione dovesse annunciare l'abbandono del dollaro, quale moneta di scambio, per gli USA si aprirebbe la strada ad una crisi irreversibile. Per gli USA, quindi, è di vitale importanza impedire che ciò si produca e soprattutto si produca nell'ambito dell'OPEC, che controlla il prodotto principale del mercato, appunto il petrolio.

Gli USA hanno solo due strade: una riforma strutturale profonda dell'economia o la via militare per impedire che i paesi dell'OPEC adottino l'abbandono del dollaro. Hanno scelto la seconda via. Dopo l'invasione dell'IRAQ, tocca all'IRAN e successivamente al Venezuela, altro importante membro dell'OPEC. Il Venezuela non solo è paese produttore di petrolio, ma è un paese latinoamerciano, che sta adottando politiche che tendono a coinvolgere gli altri paesi latinoamericani in una possibile unificazione, per il momento ancora molto difficile, date le profonde differenze esistenti tra i vari stati. Però, a più lungo termine una patria grande latinoamericana dal Messico, alla terra del fuoco sarà possibile. Ciò per gli USA è doppiamente pericoloso, perchè non solo accellera l'abbandono del dollaro come mometa negli scambi della principale merce, il petrolio, ma l'America Latina è il principale mercato di sbocco dell'economia statunitense; quindi, se tale regione si indipendizzasse da Washington, gli USA perderebbero il proprio principale mercato.

È quindi chiaro che non ci potrà essere nessun accordo: la passata invasione dell'Iraq e le probabili aggressioni a Iran e Venezuela saranno inevitabili per l'imperialismo statunitense.

Attilio Folliero e Cecilia Laya
Caracas, 09/02/2004 – Ultimo aggiornamento 10/02/2006

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