Jean Georges Almendras, Antimafia Duemila, 11/03/2016
Chi era Berta Cáceres? Cosa faceva per meritarsi la morte? Si chiedono sicuramente gli europei, ma forse anche i sudamericani si fanno le stesse domande.
Gli honduregni, invece, sanno molto bene chi era Berta Cáceres. E hanno chiara la risposta sul perché della sua morte: l’hanno uccisa per le sue lotte. Per cosa lottava? Contro chi? Perché?
Berta Cáceres era un'attivista di 45 anni che ha lasciato quattro figli. Una leader indigena del popolo Lenca dell’Honduras che aveva ricevuto in precedenza numerose minacce di morte perché difendeva le rivendicazioni del suo popolo. Era un'incondizionata protettrice dell'ecosistema e del suo popolo. Della libertà, della vita e dei diritti umani.
"Sono cresciuta in una casa gestita solo da mia mamma che era ostetrica, infermiera e sindaco negli anni '80, anni di dura repressione, e si impegnò ben presto nella difesa dei diritti umani. Mia madre visse dittature, colpi di Stato, e ciò mi motiva per continuare con questa lotta" aveva detto in più occasioni Berta Cáceres. "Attualmente siamo oltre 400 mila ‘lencas’. Siamo un popolo millenario dell’Honduras e dell’est di El Salvador. Ci consideriamo custodi della natura, della terra, e soprattutto dei fiumi".
Come coordinatrice del Consiglio dei Popoli Indigeni dell’Honduras, da tempo Berta Cáceres era oggetto di persecuzione politica. L'anno scorso era stata premiata con il Premio Ambientale Goldman, in riconoscimento dei suoi meriti come attivista ambientale.
A notte inoltrata del giovedì 3 marzo, alcuni uomini hanno fatto irruzione nella sua casa della Colonia Libano, nella città di Esperanza, e l'hanno uccisa. Gli assalitori hanno agito protetti dalle ombre della notte e sicuri della più assoluta vulnerabilità della sua vittima. Appena due settimane prima, Berta Cáceres aveva rivelato pubblicamente in una conferenza stampa che quattro dirigenti della sua comunità erano stati uccisi e che altri ancora avevano ricevuto minacce.
Berta denunciava pubblicamente la dura realtà che si vive in questa regione dell'America Latina, che ancora oggi ha ‘le vene aperte’. Ma l'attivista nel 2013, si era spinta oltre.
Quando il governo degli Stati Uniti pianificava di installare la maggiore base militare di tutta l'America Latina in Honduras, la Cáceres denunciò l'iniziativa, asserendo che: "Le installazioni risponderebbero ad un progetto di dominazione e colonizzazione per saccheggiare le risorse dei beni comuni della natura, nella nazione centroamericana”.
Quello stesso anno - secondo quanto riferito dai mezzi stampa - Berta Cáceres metteva in guardia: "Gli Stati Uniti hanno previsto di installare un'enorme base in una piattaforma marittima. Noi abbiamo denunciato che questa base minaccia anche altri popoli fratelli. Non dimentichiamo che gli Stati Uniti ha visto sempre l’Honduras come una piattaforma per invadere altri paesi fratelli, come già avvenuto negli anni '80 contro il Nicaragua. Questa volta potrebbe toccare alla Venezuela".
Le idee, il pensiero, la franchezza, la trasparenza e la consistenza delle sue denunce, stanno alla base della sentenza di morte contro l'attivista, nonostante le forze di polizia di Honduras accorse sulla scena del delitto insinuarono in un primo momento un tentativo di furto. Un’ipotesi “poliziesca” lanciata per mascherare i veri moventi del mortale attacco. Un vecchio stratagemma che non perde validità ai giorni nostri.
Le autorità, il governo e i potenti di turno, sempre alla destra del male, pronti a servire l'impunità e occultare la verità.
In questa foresta travestita da società democratica, civilizzata e coerente, le incoerenze si sprecano, e le arbitrarietà ancora di più. A dispetto di ciò, tutti quei signori corruttibili e spregevoli che commettono omicidi o li ordinano, non possono evitare di condividere le strade della città o il territorio nel quale vivono con combattenti/e dello spessore di Berta Cáceres. Una indigena che aveva l'audacia di affrontare i lacchè del sistema-impero, additandoli con il dito.
Berta Cáceres ci ha lasciato, meglio detto, ce l’hanno strappata via con violenza dalle nostre vite. Dal suo popolo Lenca - una delle maggiori etnie indigene dell’Honduras – che lei guidò nella protesta, ad esempio, contro l'installazione della diga di sbarramento di Agua Zarca la cui costruzione era prevista a nordovest del paese, nel fiume Cualcarque considerato sacro per le comunità indigene della regione e vitale per la loro sopravvivenza.
I giornalisti del suo paese e la stampa mondiale hanno avuto la deferenza di dare notizia dell’omicidio, dando risalto alle lotte dell'attivista indigena.
Nel quotidiano BBC Mundo si legge: "La campagna intrapresa da Cáceres riuscì a far ritirare al più grande costruttore di dighe di sbarramento a livello mondiale, la compagnia di proprietà statale cinese Sinohydro, la propria partecipazione al progetto idroelettrico, progetto che abbandonò anche la Corporazione Finanziaria Internazionale, un’Istituzione della Banca Mondiale”.
Cosa sarebbe successo se fosse stata costruita la diga di sbarramento? Avrebbe comportato lo spostamento degli abitanti della zona, ed avrebbe impedito alla comunità di portare avanti le proprie attività agricole. Perché non sarebbe stato privatizzato soltanto il fiume ma un raggio di diversi km. I progetti prevedono che il fiume non appartiene più alle comunità ma a mani private" spiegava Cáceres nei giorni della sua lotta. Un progetto che era stato autorizzato dal governo alle spalle degli indigeni residenti nella zona e che - secondo Cáceres - negava il diritto di consultazione libera previa e garantita nell'accordo 169 dell'OIL per i popoli indigeni, ratificato dall’Honduras.
Oltre alla diga di Agua Zarca vi era un altro progetto non meno complesso: il Blue Energy, una diga sul fiume Cangel, finanziato da capitali statunitensi e canadesi. Nuovamente la comunità Lenca e Berta si opposero al progetto e cercarono appoggio dal governo. Di fronte alla mancanza di risposta, nel 2010, Berta portò personalmente la protesta alla capitale del Honduras, Tegucigalpa, per esigere al Congresso di rifiutare il nuovo progetto idroelettrico.
Ma il potere vinse il braccio di ferro e i fiumi furono ceduti ad aziende private per più di 30 anni. Tale atto alimentò altre mobilitazioni: nel 2013 il popolo Lenca iniziò l’occupazione delle strade per impedire che i macchinari entrassero sul territorio. I blocchi andarono ad oltranza per oltre un anno e come ricordava la stessa Berta: "furono periodi difficili. C’era repressione militare e della polizia, guardie private e sicari. Anche la polizia fece la sua parte come, ad esempio, puntare i cannoni dei loro fucili sulle teste dei bambini ed anziani della città di Rio Branco. E ci furono dei morti."
Il progetto di Agua Zarca è al momento fermo ed i gruppi di indigeni proseguono la loro lotta per smantellare altri progetti. Nel frattempo, Berta Cáceres, ancora in prima fila per altre rivendicazioni più recenti, fu oggetto di molte minacce.
A dicembre dello scorso 2015 membri della Commissione Interamericana di Diritti umani denunciarono: "… una completa assenza delle misure più basilari che diano risposta a denunce di gravi violazioni dei diritti umani (…) nonostante gli atti di violenza denunciati dalle organizzazioni contadine, che vedono anche la partecipazione dello Stato nei presunti incidenti”.
Questo ombroso panorama diventa ancora più cupo di fronte ai dati statistici delle violenze. Nell'anno 2014 Honduras fu il paese che registrò più omicidi di difensori dell'ecosistema, in tutto il mondo. Delle 116 morti di ambientalisti documentate nel 2015 (la cifra può essere al rialzo), quasi tre quarti sono avvenute in America Latina. I morti sono caduti soprattutto in Honduras, Brasile e Perù.
Per essere più precisi, secondo quanto riferito da BBC Mundo, per quanto riguarda Honduras, tra il 2002 ed il 2014, sono stati 111 gli omicidi di attivisti ambientalisti, solo in territorio onduregno.
E non è un dettaglio di minore importanza, Chris Moye, il Global Witness, in dialogo con i giornalisti di BBC Mundo, ha detto che degli 111 uccisi più di 80 sono caduti negli ultimi tre anni in una regione nota come Bajo Aguán.
I portavoce di questa ONG contestano che "mentre i governi si riuniscono costantemente a discutere sul cambiamento climatico nei global forum, le persone che sono all'avanguardia della difesa di fiumi e boschi muore impunemente senza meritare nemmeno che la stampa internazionale ne dia opportuna rilevanza”.
Può essere messo in dubbio che Berta Cáceres era all’avanguardia della difesa dell’ecosistema della sua terra natia e della sovranità del suo paese.
Può essere messo in dubbio che i gruppi del potere economico di Honduras e della regione, magari sotto la regia degli Stati Uniti potrebbero non essere estranei all’omicidio di Berta Cáceres? Perché continua la scia dei crimini e di impunità contro gli attivisti delle nostre terre sudamericane, continuamente calpestati dall’imperialismo del Nord? Perché si ripetono ancora i crimini e l’impunità ai danni di chi lotta per la difesa dei diritti umani e delle cause giuste?
Berta porta alla nostra memoria la morte di Francisco Alves Mendes Filho, più conosciuto come "Chico" Mendes, in Brasile, il 22 dicembre del 1988.
Trascorse solo 48 ore dall’omicidio di Berta Cáceres, l’eco di ripudio e di riconoscimento verso la sua persona non si è fatto attendere. Molte sono state le espressioni di condanna verso questi attentati, in particolar modo quando a cadere è una pacifista, si sono fatte sentire in tutto il mondo.
"Notizie incredibilmente tristi ci giungono dall’Honduras. Dobbiamo onorare il coraggio di Cáceres. Il mondo ha perso una leader indigena incredibile. Tutti dobbiamo onorare le cause che con coraggio ha abbracciato Berta, ecologista, umanitaria e di ispirazione per tutti" ha commentato in Instagram l'attore nordamericano Leonardo Di Caprio.
Da parte sua il cantante del gruppo Calle 13, il portoricano René Pérez, ha scritto in Twiter: "Vogliono fermare l'incendio che divampa, ma ci sono dei fuochi che non si spengono con l’acqua. L’uccisione di Berta Cáceres moltiplicherà la lotta".
"L’assassinio della leader indigena Berta Cáceres è un orrendo crimine ed un colpo ai diritti umani del popolo. Che sia fatta luce subito sul delitto" chiede in Twiter il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OEA), l'uruguaiano Luis Almagro, che aggiunge: "Oggi ci appelliamo a garantire migliore protezione ed aprire un dialogo con le comunità indigene per comprendere meglio i loro problemi”.
La messicana Alicia Bárcena, segretaria esecutiva della Commissione Economica per l'America Latina (CEPAL), affermò in un comunicato che questo organismo "eleva la sua voce per esigere giustizia, per chiedere il rispetto e la protezione di tutti coloro che come Berta, in tutta Sudamerica, dedicano la loro vita a costruire i diritti per tutti".
Portavoci del Programma dell'ONU per l'Ecosistema si sono uniti alle proteste: “Berta Cáceres lavorò per difendere i diritt dei suoi concittadini all'accesso alle risorse naturali, specialmente l'acqua, uno degli obiettivi che è nel cuore dell'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”.
Sembrerebbe proprio che abbiamo toccato il fondo. Non ci sono più ormai limiti nelle file del potere per falciare la vita di chi non si piega al sistema finanziario criminale lottando con tutte le proprie forze per preservare e difendere le comunità indigene sottomesse ed abusate solo per interesse, e per preservare e difendere le terre che abitano da tempi ancestrali.
Gli assassini hanno premuto i grilletti delle loro armi contro una donna coraggiosa. Come più volte è successo e continua a succedere con altri combattenti nel mondo. Non ci sono parole per esprimere il vuoto che ci ha lasciato la notizia della perdita di Berta Cáceres.
Il popolo onduregno è in lutto. Tutta una sfida per il presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernández sommerso di rivendicazioni di giustizia. Il popolo Lenca è in lutto. L'America Latina è in lutto, ma senza abbassare le braccia.
L’America Latina ancora con ‘le vene aperte’, sofferente ma combattente. Ancora di più.
*Foto di copertina: www.goldmanprize.org
*Foto inferiore BBC MUNDO
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