Francesco Cecchini, Pressenza, 11/03/2016
La notte del 26 febbraio 1976 la Spagna abbandonò definitivamente il Sahara Occidentale. Il giorno dopo, il 27 febbraio, il Fronte Polisario proclamò la Repubblica araba democratica saharawi (Rasd). La reazione del Marocco fu subito violenta fino ad usare, a un certo punto, bombe al napalm, ma non riuscì a spegnere la resistenza, anche armata, del popolo saharawi.
Il Fronte del Polisario nel 1979 firmò la pace con la Mauritania che riconobbe l’indipendenza del Sahara Occidentale. Il Marocco invase allora tutto il territorio del Sahara Occidentale, costringendo all’esodo numerosi combattenti e famiglie sahrawi. Nel 1991, dopo anni di scontri armati, vi fu un accordo per la pace con il cessate il fuoco e l’ONU inviò in missione una delegazione (MINURSO) col compito di vigilare sulla tregua e organizzare un previsto (e mai tenuto) referendum di autodeterminazione (indipendenza o autonomia). Ad oggi l’intesa non è ancora stata raggiunta. Il nodo rimane il referendum su cui ancora non esiste un punto di incontro tra Marocco e Fronte Polisario.
I profughi trovarono asilo nel sud-ovest dell’ Algeria, innanzitutto nell’oasi di Tindouf. Il popolo Saharawi esiliato è composto da oltre 160mila rifugiati che vivono in una striscia di deserto algerino. Combatte contro un terreno inospitale, dove d’estate la temperatura è proibitiva e d’inverno il forte vento irrita occhi e gola. Le malattie qui sono dovute soprattutto al clima. Il territorio è diviso in wilaya (regioni) organizzate a loro volta in daira (province). Spesso manca l’acqua corrente e l’elettricità nelle tende – le abitazioni tradizionali – o nelle più moderne e costose case costruite con mattoni di sabbia, che però rischiano di crollare letteralmente nel periodo delle piogge. Tra la striscia nel deserto algerino e la madre patria vi è un confine/barriera di circa 5 milioni di mine, di filo spinato e di un muro di oltre 2700 chilometri. È stato costruito dal Marocco durante gli anni degli scontri ed è ancora presidiato da migliaia di soldati marocchini. Il “muro della vergogna” lo chiamano i Saharawi, un muro di sicurezza dice il Marocco per proteggere quello che le risoluzioni Onu definiscono un territorio in conflitto. La posizione del Marocco è chiara: nessun territori è occupato. Interessi anche economici risponde la Rasd perché quella terra è ricca di fosfati e ha un mare molto pescoso. Oltre questa barriera, nel Sahara occidentale, vive l’altra parte del popolo saharawi, circa 400mila persone.
A Tindouf lo scorso 27 febbraio il Fronte Polisario ha celebrato il quarantesimo anniversario della propria Repubblica con una sfilata di carri armati, missili, armi e di 25.000 soldati che sbandierando la loro bandiera hanno promesso il ritorno nella loro Patria, il Sahara Occidentale.
Primo Ministro del Fronte Omar Taleb ha dichiato ai giornalisti: “Con la sfilata dei nostre forze militari vogliamo far vedere di avere un esercito bene armato e preparato. La lotta armata per l’indipendenza è una possibilità che non è esclusa e per la quale ci stiamo preparando”.
Una dichiarazione significativa di una situazione estremamente drammatica, la guerra da silenziosa rischia di parlare il linguaggio delle armi. Il processo di decolonizzazione/democratizzazione non solo è fermo, ma regredisce: abusi di diritti umani, arresti e incarcerazioni di attivisti Sahrawi e impossibilità di tornare nella propria terra. Inoltre vi sono seri problemi di sicurezza nella regione: infiltrazioni di gruppi terroristici provenienti dal nord del Mali, al-Qaeda in Maghreb e cellule terroristiche dormienti hanno destabilizzato l’area. Il Fronte Polisario è solo nell’affrontare questi attacchi su più fronti e ha schierato unità anti terrorismo che impiegano tattiche di guerriglia lungo i confini per combattere l’avanzata dei militanti del jihad. Dopo 23 anni di attesa per un referendum, il risentimento della popolazione Sahrawi è aumentato e da più forza al vento di guerra che inizia a spirare.
Prima del quarantesimo e della sfilata militare a Tindouf. Ban Ki-Moon, la settimana scorsa, è stato il primo segretario generale dell’Onu a visitare la regione. Dopo aver visitato i campi in Algeria, ora sede di alcuni più di 90.000 saharawi, ha detto che era commosso e anche addolorato invitando a riprendere i colloqui. La sua visita è venuta poche settimane dopo un importante dissenso tra Rabat e l’UE, in quanto la Corte di Giustizia Europea stabilito che un accordo commerciale su agricoltura e pesca era illegale perché includeva il Sahara occidentale. L’Unione Europea non riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale. In frontale contrapposizione con l’atteggiamento di re Mohamed VI che, tempo fa annunciò che il “Sahara rimarrà parte del Marocco, fino alla fine dei tempi”.
Rabat ha reagito violentemente sia alla visita che alle dichiarazioni di Ba Ki-Moon, puntando il dito anche contro l’Algeria. Le posizioni dell’ONU sono in forte contrasto con la volontà del Marocco di impadronirsi definitivamente di questo paese. Il Marocco, anche se ha l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita e di pochi altri alleati tradizionali, è sostanzialmente isolata. Oltre all’ Onu e all’Europa, anche l’ Unione Africana sostiene l’applicazione del cessate il fuoco del 1991, che comporta il referendum.
L’ ultima presa di Ba Ki-Mon va appoggiata per costringere il Marocco a sedersi al tavolo dei colloqui e permettere che finalmente che l’ONU organizzi il referendum di autodeterminazione (indipendenza o integrazione).
Anche i movimenti che nel mondo ed anche in Italia appoggiano il popolo saharawi devono mobilitarsi perché la posizione dell’ONU venga, finalmente, rispettata e realizzata. Altrimenti l’unica alternativa è la ripresa da parte del Fronte Polisario della lotta armata, come annunciato da Omar Taleb.
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