Attilio Folliero e Cecilia Laya, Caracas 18/03/2011
Articolo pubblicato in vari siti, tra i quali: Oltre la coltre e Informare per resistere
Il 15 marzo scorso sono stati pubblicati i dati del debito
estero USA, relativo al mese di gennaio (1). Ci sono delle novità.
Tali dati vengo pubblicati 45 giorni dopo la fine di ogni mese, quindi a metà
marzo abbiamo i dati relativi a gennaio; a metà aprile, avremo quelli relativi
a febbraio e via di seguito. Al contrario, i dati relativi al debito pubblico
totale vengono pubblicati giornalmente.
Il debito
pubblico totale degli USA, al 15 marzo ha raggiunto i 14.237,95 miliardi di dollari (2), ben 71,92 miliardi in
più rispetto al giorno precdente. Questa volta, oltre a registrare l’ennesimo
massimo storico, dobbiamo aggiungere che il debito pubblico ha raggiunto il
99,61% del limite del debito autorizzato per legge. All’inizio di ogni anno, il
parlamento degli Stati Uniti stabilisce, mediante legge, il limite annuale che
può raggiungere il debito. Quest’anno, alla data attuale il parlamento non ha
ancora elevato tale limite; nel caso in cui il parlamento non lo innalzasse, l’azione
del governo verrebbe limitata, costringendo il presidente Obama ad una sorta di
esercizio provvisorio. Le elezioni parziali di metà periodo, dello scorso autunno
hanno consegnato la maggioranza in parlamento al partito repubblicano,
avversario dell’attuale governo, presieduto dal democratico Barack Obama.
In questi giorni, in queste ore sono in corso frenetiche
trattative fra gli emissari del governo di Barack Obama ed i rappresentanti dei
republicani per cercare di arrivare ad un accordo sull’innalzamento del limite
del debito.
La situazione sta assumendo anche risvolti comici, perchè
nel giorno in cui il debito aumenta di circa 72 miliardi, il parlamento approva
un taglio al bilancio presentato da Obama di 6 miliardi. Da mesi erano in atto
discussioni per operare tagli al bilancio del governo e quando il parlamento
riesce a farlo, il debito aumenta di un solo colpo 12 volte quel provvedimento
che tante discussioni è costato.
Durante i 784 giorni del governo di Obama, il debito è aumentato
mediamente di 4,61 miliardi di dollari al giorno. Tale debito è praticamente
finanziato per il 70% dalla Federal Reserve, la banca centrale USA, che
provvede ad acquistare titoli del debito pubblico con dollari stampati ex novo;
il restante 30% viene dalle banche centrali estere.
Alla data del 31 gennaio – come detto – ultimo dato
disponibile per il debito estero, la Cina con i suoi 1.154,70 miliardi di
dollari in titoli del debito USA continua ad essere il paese che maggiormente
aiuta gli USA; seguita da Giappone con 885,90 e terzo il Regno Unito con 278,40
miliardi. E’ interessante notare che da tre mesi la Cina ha smesso di
acquistare titoli del debito USA, anzi ha leggermente ridotto il possesso di
circa 20 miliardi. Il Giappone è praticamente stabile; ha aumentato l’acquisto
solamente di 12 miliardi, con un incremento dell’1,41%.
Se la Cina ha ridotto gli investimenti in titoli di stato
USA per dedicarsi a sviluppare il mercato interno, il Giappone con il
terremoto, lo tzunami e le esplosioni delle centrali nucleari, oltre a contare
la perdita di migliaia di vite umane ed il pericolo nuclerae deve fare i conti
con il proprio debito pubblico (oltre 200% del PIL) e la ricostruzione; in
sostanza non può più trasferire denaro agli USA ed anzi deve ritirare quello
investito.
La banca centrale del Regno Unito è quella che ha
maggiormente incrementato gli aiuti agli USA nell’ultimo anno; precisamente,
negli ultimi sette mesi ha trasferito 189 miliardi, di cui 69 negli ultimi tre
mesi e solamente 6 miliardi nell’ultimo mese. Questa progressiva diminuizione
dimostra che le possibilità di continuare a finanziare il debito USA sono al
limite; anzi, con i problemi interni che ha difficilmente potrà continuare a
farlo in maniera così sostenuta. Quindi, gli USA non potranno contare sugli
aiuti dei principali tre paesi finanziatori.
Nell’ultimo mese si è fatta avanti la Francia, che dopo i
problemi interni dello scorso autunno ha ripreso a finanziare fortemente gli
USA: nell’ultimo mese ha aumentato di oltre il 90% il possesso di titoli del
debito USA, passando dai 15,80 miliardi di dicembre ai 30,20 di gennaio. Anche
Turchia Filippine, Canada, Olanda, Tailandia, Cile, Brasile, Italia,
Polonia e Messico hanno incrementato
l’acquisto di titoli del debito USA. Tutti questi paesi, asssieme al Regno
Unito, hanno potuto trasferire agli USA poco meno di 60 miliardi. Anche l’Italia ha contribuito con quasi un
miliarduccio, per l’esattezza 900 milioni di dollari.
Tutti questi paesi, che hanno problemi al loro interno,
non potranno continuare ad aiutare gli Usa. Venendo meno gli aiuti di Cina e
Giappone, gli USA andranno incontro a grossi problemi di finanziamento e gli
aiuti che possono provenire dagli altri paesi sono solo dei paliativi.
In questo momento, gli USA hanno da un lato il problema
interno che il parlamento non concede l’autorizzazione a contrarre nuovi debiti
e dall’altro, anche se il parlamento autorizzasse il governo a continuare ad
operare facendo debiti, in realtà si scontrerebbe con la realtà che ben pochi
paesi possono concedergli credito.
L’unica strada che sembra rimanere agli USA è quella praticata
dalla Federal Reserve, ossia incrementare la sua quota di acquisto di titoli
del debito USA, attraverso la stampa dei dollari. Per gli USA il cerchio si
stringere sempre più.
Il terremoto in Giappone ed i conseguenti incidenti alle
centrali nucleari, stanno facendo riflettere il mondo sull’opportunità di
seguire con questa energia. Per inciso, aggiungiamo che il nucleare non
rappresenta una soluzione ai problemi energetici dell’umanità per la semplice
ragione che il principale materiale radiottavio, l’uranio, scarseggia;
utilizzare il nucleare significa solamente spostare di qualche decennio,
rispetto al petrolio, il problema dell’esaurimento di questa risorsa. Molti
paesi, dunque a seguito del terremoto in Giappone, stanno congelando i loro
piani di sviluppo nucleare e quindi all’orizzonte si prospetta un ulteriore aumento
dei consumi petroliferi ed il conseguente incremento dei prezzi, aumenti che si
trasferiranno agli altri prodotti, soprattutto a quelli alimentari, che a loro
volta scarseggiano per il cambiamento climatico e l’utilizzo dei prodotti
agricoli come fonti energetiche alternative.
All’aumento, per cosi dire naturale del prezzo
dell’energia, bisogna aggiungere quello derivante dalla svalutazione del
dollaro. A causa della situazione interna, gli USA stanno incrementando la
stampa dei dollari per finanziare il proprio debito; ciò accellererà la caduta
del valore stesso del dollaro e quindi il prezzo del petrolio continuerà a crescere
proprio a causa della svalutazione della moneta utilizzata sul mercato
internazionale per la sua compraventita.
Come evidenziato, in un nostro precedente articolo “Gli Usa verso la fame e le rivolte sociali” (3), anche il Wall Street Journal ormai parla apertamente di
caduta del valore del dollaro.
A tutto ciò va aggiunto un ulteriore elemento di
disperazione per gli USA. L’Arabia Saudita fino ad pochi mesi fa era ufficialmente
la principale riserva petrolifera del mondo con 264 miliardi di barili, ma
secondo notizie publícate da Wikileaks
e riportate dal giornale inglese “The Guardian” (4), le riserve
dell’Arabia sarebbero inferiori di almeno un 40%. In realtà le publicazioni di
Wikileaks non hanno fatto altro che confermare voci di cui si parlava già da
qualche tempo (5).
In sostanza, il principale alleato petrolifero degli USA
e probabilmente anche gli altri paesi arabi avrebbero meno petrolio di quanto
si sia pensato fino ad oggi.
Grafico
Riserva
petrolifera dell’Arabia Saudita 1980-2008
Dati ufficiali e
dati wikileaks
Con la svalutazione del dollaro dietro l’angolo,
l’aumento dei prezzi del petrolio e consci dell’impossibilità di essere
riforniti dal loro alleato startegico, gli USA potrebbero entrare nella fase
della disperazione ed essere spinti a compiere azioni appunto disperate, come
l’assalto al petrolio libico, o iraniano, o venezuelano.
La verità è che nell’ultimo decennio solamente in tre
paesi, Venezuela, Libia e Iran, si sono avute scoperte consistenti di petrolio.
Il Venezuela dal 14/02/2011 è ufficialmente il paese con la più grande riserva
petrlifera del mondo; le società internazionali di certificazione hanno
accertato riserve per 296.500 milioni di barili, con un aumento del 40%
rispetto all’anno precedente.
Gli occhi degli Usa sono intermante puntati verso questi
tre paesi. Il problema non sono i dittatori veri o presunti, o la salvaguardia
dei diritti umani. Quando mai agli USA sono interessati i diritti umani? Il
problema è che la civiltà industriale nostra e particolamente della prima
potenza si fonda sul petrolio, ma questo prodotto con la svalutazione del
dollaro e l’aumento del suo prezzo diventerà sempre più inaccessibile agli USA.
Di fronte al rischio di tramonto della propria potenza, la disperazione farà
fare grosse sciocchezze, come è sempre successo per gli imperi in decadenza.
Nella seguente tabella, riportiamo i dati del debito
estero USA, aggiornato al 31 gennaio 2011, con le variazioni assolute e
percentuali dell’ultimo mese e degli ultimi tre mesi.
Attilio Folliero, Caracas 18/03/2011
Note
________________
(1) I dati del debito estero degli
Stati Uniti sono pubblicati dal Tesoro USA, Url: http://www.treasury.gov/ticdata/Publish/mfh.txt
(2) I dati del debito pubblico degli Stati Uniti sono pubblicati dal Tesoro USA, Url: http://www.treasurydirect.gov/NP/debt/current
(3) Gli Usa verso la fame e le rivolte sociali del 14/03/2011, Url: http://umbvrei.blogspot.com/2011/03/gli-usa-verso-la-fame-e-le-rivolte.html
(4) Vedasi articolo in inglese pubblicato dal The Guardian “WikiLeaks cables: Saudi Arabia cannot pump enough oil to keep a lid on prices”, Url: http://www.theguardian.com/business/2011/feb/08/saudi-oil-reserves-overstated-wikileaks
(5) Vedasi articolo di Debora
Billi “Riserve di petrolio esagerate di un terzo (e balle sul clima?)”, Url: http://petrolio.blogosfere.it/post/213338/riserve-di-petrolio-esagerate-di-un-terzo-e-balle-sul-clima
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