Daniele Reale, La schiavitù del lavoro, 26/09/2016
A questo punto siamo ridotti, confondere la vera libertà con la libertà di scegliere un lavoro e il proprio padrone, roba da far rivoltare sulla tomba tutti i grandi rivoluzionari e libertari del mondo che hanno sacrificato la propria vita con al cuore il pensiero fisso di un mondo nuovo, felice, senza sfruttati e senza sfruttatori.
Ma del resto che ne sanno i giovani oggi degli ideali libertari?
Di cosa significa sacrificarsi per il bene degli altri?
Perché un domani nessuno debba più morire di fame o accettare un lavoro di merda perché perennemente ricattato dall'oscuro concetto del "Se non lavori non mangi?"
E allora, dopo le gloriose conquiste civili e operaio degli anni 60-70, oggi siamo arrivati al punto di chiamare "libertà" la nostra quotidiana schiavitù, e guai a lamentarsi, poiché gli ottusi schiavi moderni fieri di vivere la propria vita all'insegna della monotonia e del consumismo, subito ci attaccano il difesa del sistema che gli ha creati, dicendoci:
"Ringrazia il cielo di avere un lavoro!"
Quindi oggi le masse entrano nelle fabbriche felici di svolgere mansioni monotone, otto ore al giorno, poiché hanno smesso di sognare un modo diverso di vivere, semplicemente si accontentano di ciò che viene loro proposto, del resto un lavoro sicuro assicura loro macchina e telefono nuovo, l'affitto per l'appartamentino e i soldi da spendere nei locali più alla moda nei giorni concessi loro di intervallo nel weekend.
E la chiamano libertà, senza sapere cosa sia davvero la libertà, senza immaginare che se fossero davvero liberi nessuno li obbligherebbe mai a lavorare otto ore al giorno, perché in un mondo davvero "libero" risulterebbe a tutti inconcepibile lavorare così tante ore al giorno, come ad una rondine, finito di costruire il proprio nido, risulterebbe inconcepibile costruire altri nidi per il resto della sua vita.
Ma come siamo arrivati a questo? Semplice!
Azzerando il pensiero libertario attraverso il sistema scolastico, racchiudendo milioni di bambini in quelle gabbie chiamate "scuole", dove la prima cosa che si insegna è l'obbedienza verso le autorità (professori, maestre, presidi) e la competitività spietata verso i propri simili (compagni di classe).
Si spezza così il naturale cerchio che porta gli individui ad amarsi e aiutarsi, trasformandolo nella futura piramide sociale, dove "vince il migliore" e il forte schiaccia il debole.
Risulta quindi normale che in un mondo snaturalizzato e privato dell'amore verso il prossimo, gli schiavi puntino alle carriere individuali e a riempire di spazzatura il proprio ego, invece che sostenersi a vicenda, facendo in modo che a nessuno manchi niente, ed è così che anche la libertà di fare e di essere, viene confusa con la libertà di spendere i propri soldi.
Ma del resto in quest'epoca composta di superficiali materialisti, a chi importa essere? A chi importa fare un lavoro dove oltre alle mani si usi la testa? A chi importa sviluppare il proprio talento e la propria creatività, quando il pensiero più grande è "come vestirsi" o"come spendere i proprio soldi per far colpo o impressione sulle altre persone per sentirsi socialmente accettati da una società in totale crisi d'identità?"
Daniele Reale
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