domingo, 2 de agosto de 2015

La menzogna è un’arma mediatica


Mentire è manipolare, veritare è rivoluzionare
(Attilio Folliero)

Da oltre un secolo e mezzo, solo la corrente teorica politica e culturale dei marxisti combatte la battaglia per l’emancipazione di tutta la specie umana dalla soggezione ad un modo di produzione generatore di caos, di dissipazione dell’energia, che mette irrazionalmente a repentaglio la sopravvivenza del mondo e della vita stessa sul nostro pianeta. 

Nel far questo, essi, i marxisti, usano mezzi razionali, anche se han capito che le armi della ragione illuminista sono nulla, se non accompagnate dalla ragione delle armi, della lotta sociale organizzata per la demolizione dei pilastri economici, sociali e politici che sorreggono il sistema capitalista. In fondo, la loro è una battaglia rivolta alle menti, una battaglia per la coscienza organizzata e per la verità partecipata e condivisa (solo la verità è rivoluzionaria).

Quella che in Val di Susa si sta svolgendo in questi giorni ha questo connotato di fondo, essendo condotta da governo nazionale e locale e dai mass media asserviti a colpi di menzogne. I marxisti non sono certo più dotati degli altri; semplicemente, esprimono il movimento reale, ossia la verità storica, specie quando questa è ancora in fasce. Ma è la natura stessa della verità, in ogni sua espressione pratica quotidiana, che è paradossale, e perciò rivoluzionaria. Il suo cammino è altrettanto lento e difficile, quanto inesorabile e sicuro. 

Il sistema capitalista per contro, giunto alla sua fase suprema di spartizioni e ripartizioni dei paesi deboli del mondo ad opera di un pugno di Paesi imperialisti, è entrato in una sorta di Maelstrom economico, sociale e politico da cui non può uscire se non aggravando i presupposti della sua crisi sistemica: soprattutto non può uscirne facendo leva sulla chiarezza e sulla verità per ottenere il consenso delle vaste masse schiavizzate in ogni angolo del mondo. È per questo che le guerre sono diventate una condizione permanente, la prassi di questo modo di produzione in decadenza irreversibile. Le guerre sono lo sbocco inevitabile delle crisi, essendo anche un mezzo per rilanciare gli affari, per distruggere forze produttive in eccesso, per rimettere su giusti binari livelli di profitti e di accumulazione divenuti troppo esigui per sfamare i tanti parassiti generati come saprofiti dalla sua voracità di ricchezza sociale, che mettono a repentaglio la riproduzione stessa del capitale complessivo. 

Anche le guerre si sono evolute in concomitanza con l’estensione delle relazioni globali del capitalismo. La lotta sociale, quella che rientra nel contenitore concettuale della «sicurezza», diventa sempre più una lotta armata, cui concorre una miriade di forze parassitarie sicuritarie, dagli agenti del fisco alle guardie giudiziarie addette ai sequestri e agli sfratti ai guardiani a vario titolo delle banche, delle fabbriche e degli edifici pubblici, alla polizia stradale, ferroviaria, marittima, ai poliziotti di quartiere e via di seguito in un lungo elenco che va fino ai buttafuori delle discoteche. 

Quello delle armi è divenuto il mercato più redditizio per le potenze occidentali. E naturalmente è allo stato attuale anche uno dei settori di maggiore occupazione, pubblica e privata, dove la realtà del parassitismo più depravato si coglie con mano, se si considera che una moltitudine di esseri umani viene stipendiata per costringere altri esseri umani, anche massacrandoli, a produrre per loro, a pagare forzatamente un affitto impossibile, a indebitarsi o ammazzarsi di lavoro per pagare le estorsioni continue per colmare i buchi delle banche e i debiti dello Stato. Ma proprio perché queste guerre non mirano certo a procurare il consenso delle popolazioni mediante l’esercizio della ragione e della verità, bensì a piegarne la volontà con la forza (che tuttavia non può sempre essere quella bruta della violenza militare armata) ecco che assume un ruolo sempre più determinante la conquista dei cuori e della psiche mediante i miti, che sono da sempre la forza che muove le volontà collettive dei popoli. Sarebbe ingenuo attribuire questo comportamento a scarsa capacità razionale dei popoli, o a naturale limitatezza delle masse o a propensione dell’opinione pubblica verso le leggende piuttosto che verso la verità e dunque a bere tutto quel che le si propina. 

Il fatto è che la borghesia, che ha alle spalle una lunga storia di rivoluzioni contro il mondo feudale e contro l’oscurantismo religioso, ha imparato a sue spese che non è la verità e la coscienza intellettuale a muovere le popolazioni, le grandi masse, bensì i miti, quelle vere e proprie leve che si imprimono profondamente nella psiche collettiva per incarnare speranze e muovere le volontà ad agire. Se i marxisti non comprendono questo e pretendono che i popoli si muovano secondo i dettami della ragione pura andranno incontro a frustrazioni e a pesanti sconfitte. 

I miti sono tali che, una volta penetrati in profondità nelle coscienze, costituiscono una forza difficilmente scardinabile. Quello dell’11 settembre 2001 (l’attentato alle Torri gemelle di New York) è a tutti gli effetti un mito, realizzato con le più sofisticate e tecnologicamente evolute e collaudate tecniche di comunicazione mediatica, che ha imbastito menzogne e confusione con briciole di verità, sensazionalismo e paura, esorcismo ed emotività, ripetute fino alla nausea, anche quando i fatti le abbiano smentite. Che poi, nel tempo, infatti, la costruzione si sia rivelata un colabrodo, non ha più importanza: quel che conta è la prima impressione, quella che muove il consenso e le volontà delle masse. In quella zona della psiche che gli psicologi chiamano «inconscio» non si distingue un’idea o un’immagine vera da una falsa. Le «impressioni» e gli effetti sono ugualmente reali e per lo più sono previsti da chi manipola e veicola le informazioni e i messaggi. E vale la nota massima behaviorista del ministro nazista della propaganda J. Goebbels: «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità». 

Che però è detto non originale, essendo già in Hegel la sua formulazione filosofica (1) e soprattutto nel medico e fisico francese Gustave Le Bon, che ha fatto scuola osservando le tecniche della manipolazione mediatica già nel 1895, quando i mezzi di comunicazione di massa non erano neppure all’alba del loro sviluppo:

«L’affermazione pura e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce un mezzo sicuro per far penetrare un’idea nello spirito delle folle. Quanto più l’affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorità. […] Tuttavia (l’affermazione) acquista una reale influenza soltanto se viene ripetuta di continuo, il più possibile, e sempre negli stessi termini. Napoleone diceva che esiste una sola figura retorica seria, la ripetizione. Ciò che si afferma finisce, grazie alla ripetizione, col penetrare nelle menti al punto da essere accettato come verità dimostrata. […] La cosa ripetuta finisce con l’incrostarsi nelle regioni profonde dell’inconscio, in cui si elaborano i moventi delle nostre azioni. Così si spiega la forza straordinaria della pubblicità.» (2)

Nell’intervento armato «umanitario» della NATO in Libia si è assistito alla costruzione di un mito mediante pezzi di verità (che invece è sempre inscindibile e una!), luoghi comuni razzisti, un misto di ignoranza e disprezzo, e una fiumana di menzogne, di disinformazione, forzature della realtà affermate, visualizzate e ripetute nei grandi media e tanta emotività suscitata con immagini false di famigerate (e falsarie) fosse comuni e di «massacri» inventati di «civili» da parte di un tiranno, neanche poi tanto tiranno se sostenuto dalla maggioranze del suo popolo: lo ammette anche il vescovo cattolico di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli che, un po’ tardivamente a cose fatte, denuncia le morti di «civili» provocate dai bombardamenti dei «volenterosi» (3).

Ma le verità tardive, le incongruenze e le smentite provate dagli eventi, come si diceva, lasciano il tempo che trovano, non mutano gli stati d’animo collettivi e non li mutano neppure i rapporti internazionali, redatti da commissioni internazionali che recentemente si sono recate sul posto per attingere dati informativi obiettivi (4). 

A che serve ora discutere sulle forzature giuridiche della risoluzione ONU rispetto al suo Statuto (risoluzione estorta al Consiglio di Sicurezza sulla base di una «strage di vittime innocenti a Bengasi» costruita con la celluloide) e concludere che la bubbola della no-fly zone era la preparazione strategica all’ingerenza aggressiva di una superpotente coalizione a tutti gli effetti imperialista e peggiore del vecchio stampo coloniale contro un piccolo paese, anche se relativamente ricco, del Nord Africa, fino alla vigilia coccolato e rimpinzato di armi dagli stessi che ora vogliono disarmarlo e ucciderne il tiranno impazzito, e, dimenticando i «civili», che anzi possono essere tranquillamente liquidati col «fuoco amico», danno la caccia al tiranno per ucciderlo e ne massacrano figlio e nipoti? Ormai i giochi sono fatti. 

La guerra, per cui si sono escogitate tante formule da azzeccagarbugli per creare la leggenda che non si trattasse di guerra e per convincere persino i recalcitranti leghisti lumbard ad accettarla, per procura verso Obama, e finalmente… a bombardare (a dosi di tempo, con scadenza cronometrata!), dopo che nelle coscienze si era veicolato il principio che mai si sarebbe bombardato! Sì, perché, a dire di Frattini, i nostri Tornado «colpiscono, non bombardano», e in modo «mirato»; la guerra, che un presidente della repubblica, sempre tirato in ballo nei momenti delicati, come Napolitano, aveva escluso, per poi fare la figura del babbeo (5), quella guerra ora è lì con tutto il suo codazzo di sporcizie, come la creazione e parziale legittimazione di uno «Stato» fittizio degli insorti (a loro volta presentati come ribelli, rivoltosi e giovani shabab in grado di entusiasmare in Italia non pochi sedicenti rivoluzionari non schizofrenici) (6) e persino una «banca», per giustificare lo scongelamento dei fondi libici dalle banche in cui erano depositati e la spartizione di 120 miliardi di $ congelati per le sanzioni.

Sulle «menzogne di guerra» targate ONU e Nato, bugie di guerra nel senso di armi che fanno vittime reali, esiste ormai una vasta letteratura nell’ultimo decennio (7), ma chi va a pensare oggi, anche tra tanta consumata ultrasinistra nostrana, che persino organi autorevoli come il New York Times rivelava già nel febbraio 2002 che il Pentagono stesso aveva elaborato un «piano di disinformazione rivolto a Paesi amici e nemici», l’Office of Strategic Influence? 

Chi va a pensarlo, oggi, quando ci arriva la sequela di resoconti sull’uccisione (?) di Osama Bin Laden? 

E subito dopo è la volta della altrettanto misteriosa cattura del cosiddetto boia di Srebrenica, Mladic? 

Sembra che gli americani abbiano vissuto analoga impressione dell’attentato alle torri di 10 anni prima, espressamente richiamato dai media, anche se chi ha le mani in pasta come l’FBI non ha mai attribuito al fantomatico capo dell’altrettanto fantomatica Al Quaeda l’attentato di dieci anni fa. In una serie di articoli precedenti sul grande gioco imperialista in Nord Africa (vedi newsletter precedenti nel sito Ponsinmor) ho segnalato per il lettore questo ruolo strategico della menzogna, della confusione, della disinformazione nelle guerre che si preparano, in quanto tale vero e proprio fronte globale delle guerre nel mondo delle megalopoli contemporanee diventa determinante. 

È inquietante come un grande romanziere e giornalista come George Orwell, uscito appena dalla II guerra mondiale, lo abbia così ben profetizzato e descritto con magistrale ironia già alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso nel suo romanzo «utopia» 1984 , mentre oggi la menzogna della neolingua e del bipensiero lasciano ingenui persino dei sedicenti rivoluzionari, e inerti i loro cervelli. 

Per queste ragioni, ed altre che ci sforzeremo di analizzare e documentare, riteniamo che le denunce, le messe in guardia, le diffidenze, gli inviti a mantenere attiva la ragione e le facoltà critiche che andiamo facendo, per quanto possano essere utili e talvolta indispensabili ai singoli per non cadere nell’asservimento delle menti e dei cuori, non bastano per il movimento di emancipazione dalla schiavitù del capitale e rendono perentoria l’esigenza di dar vita ad un organismo rivoluzionario altamente centralizzato che renda efficaci ed operanti le verità contro le menzogne e i miti. 

Solo un partito rivoluzionario è in grado di affermare con autorevolezza le verità e ripeterle con strumenti adeguati nelle menti dei lavoratori a cui tocca di cambiare lo stato di cose presente.

*** Un esempio di quanto limitata sia l’efficacia della denuncia dei miti e delle menzogne come arma mediatica nella gestione delle guerre del capitale è data dalla sfacciataggine con cui i media dominanti affermano e ripetono quelle che una miriade di servitori della carta stampata e delle televisioni in tutto il mondo da dieci anni hanno inchiodato nei cervelli di milioni di esseri umani e continuano a propalare da 10 anni come verità sull’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2011. Sappiamo bene che la nostra voce è esile e impotente di fronte a loro, ma siamo certi che anche da posizioni di svantaggio è necessario condurre una battaglia per la verità. Di seguito diamo il via ad una campagna che prosegue nel percorso quello che da anni è il movimento per la verità sull’11 settembre, offrendo ai nostri Amici e lettori la possibilità di diffondere questo testo ormai divenuto indispensabile per chiunque voglia diradare le nebbie che su quell’evento si sono sedimentate ***

I libri della Ponsinmor possono essere acquistati direttamente nel sito 

Dante Lepore, 28.06.2011
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Note

1 «Attraverso la ripetizione, ciò che inizialmente appariva solo come accidentale e possibile, diventa qualcosa di reale e consolidato» (G.W.F. HEGEL, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, in Sämtliche Werke, Frommann, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1971, Bd. 11, p. 403. 

2 GUSTAVE LE BON, Psicologia delle folle, Milano 1982, pp. 111-112; il libro significativamente fu letto e studiato da chi aveva a che fare con i fenomeni politici e sociali di massa, da Mussolini a Lenin, oltre che dalle polizie di tutti i paesi. 

3 Il vescovo di Tripoli, mons. GIOVANNI MARTINELLI (AsiaNews.it, 25 marzo) aggiunge: «La guerra poteva essere evitata. Qualche giorno prima che Sarkozy decidesse di bombardare, si erano aperti spiragli veri di mediazione. Ma le bombe hanno compromesso tutto». 

4 Una di queste è THE NON-GOVERNMENTAL FACT FINDING COMMISSION ON THE CURRENT EVENTS IN LIBYA,il cui report è opera di PAOLO SENSINI, Quello che ho visto in Libia, in «Comedonchisciotte», 24.04.2011, sul quale abbiamo condotto un sondaggio con i nostri lettori i quali si sono divisi a metà tra favorevoli e contrari, e tra i contrari qualche rivoluzionario non «schizofrenico» se la cavava con una scrollata di spalle affermando che Sensini era «un anarchico». Infine segnaliamo che su iniziativa del «Centre international de recherche et d’études sur le terrorisme et d’aide aux victimes du terrorisme (CIRET-AVT)» (http://www.ciret-avt.com/), del «Centre Français de Recherche sur le Renseignement (CF2R)» (http://www.cf2r.org/), e col sostegno del «Forum pour la paix en Méditerranée» (http://www.cf2r.org/), una delegazione internazionale di esperti si è recata volta a volta a Tripoli e in Tripolitania (dal 31 marzo al 6 aprile), poi a Bengasi e in Cirenaica (dal 19 al 25 aprile), per valutare la situazione libica in piena indipendenza e neutralità e incontrare i rappresentanti delle due parti. La conclusione del rapporto dettagliato, di ben 44 pagine in 13 capitoli la sintetizziamo in questa citazione :« l’étude des faits conduit à affirmer que la « révolution » libyenne n’est ni démocratique, ni spontanée. Il s’agit d’un soulèvement armé de la partie orientale du pays, dans un esprit de revanche et de dissidence, qui tente de s’inscrire dans la dynamique du « printemps » arabe, dont il ne relève cependant pas. Le mouvement libyen ne peut donc être comparé avec les révoltes populaires tunisienne et égyptienne. Plus inquiétant, le CNT s’affirme n’être qu’une coalition d’éléments disparates aux intérêts divergents, dont l’unique point commun est leur opposition déterminée au régime. Les véritables démocrates n’y sont qu’une minorité, et doivent cohabiter avec des d’anciens proches du colonel Kadhafi, des partisans d’un retour de la monarchie et des tenants de l’instauration d’un islam radical». I dati del rapporto li consideriamo nel seguito dell’articolo. Dello stesso tenore è un altro articolo di MOHKTAR SAHKRI, Libia. Il disprezzo e la malafede, in http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=25281 del 15.06.2011, e tradotto da www.comedonchisciotte.org del 27.06.2001. In genere, la denuncia di questi report è l’ingenuità da parte dei volenterosi di fidarsi e persino riconoscere il Consiglio Nazionale di Transizione, i cui capi sono ora denunciati dalla diplomazia tedesca e dai russi come dei fuorilegge, membri di Al-Qaeda, ex uomini di Gheddafi, islamici radicali e monarchici revanscisti, tutti ancora più pericolosi del tiranno attuale. 

5 Guardatelo in tv mentre, con lo sguardo a terra, afferma che questa non è guerra ma… un’azione militare! Magico potere delle parole, affermate dall’Autorità e ripetute cento volte, anche se senza convinzione e con lo sguardo della vergogna. 

6 Si veda la polemica in http://www.ponsinmor.info/NewsLetter/NewsLetter29.pdf, Apologia dei rivoluzionari schizofrenici dagli attacchi socialimperialisti. A proposito di un articolo di DINO ERBA, “Il vento del Nordafrica e i sospiri dell’Italia. Brevi note sull’ambiente rivoluzionario italiano”, Milano, 6 aprile 2011. 

7 Citiamo tra i tanti a caso uno dei tanti testi: JÜRGEN ELSÄSSER, Menzogne di guerra. Le bugie della NATO e le loro vittime nel conflitto per il Kosovo, trad. italiana «La città del sole», Napoli, 2002.
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