domingo, 15 de febrero de 2015

Siria: Da che parte stare?

Red Militant, 01/10/2013


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Con questo articolo ci proponiamo di affrontare una posizione assai di moda in certa sinistra in Italia, sulla questione siriana secondo cui il governo Assad non è certo nemico del proletariato, anzi è sicuramente antimperialista, per questo va difeso.
Dalla parte di Assad?
Per rispondere a questa tesi occorre articolare la risposta partendo dalla ricostruzione della politica interna ed estera della Siria degli ultimi decenni ed in particolare del periodo che vede affermarsi il dominio politico della famiglia Assad. 

Nel novembre 1970 Hafez Al-Asad (Assad) prese il potere liquidando l’ala sinistra del partito Ba’th, guidata da Salah al-Jadid, che aveva introdotto alcune innovazioni sicuramente positive per le masse popolari siriane: dall’istituzione di una commissione per la pianificazione, all’estensione del controllo pubblico sull’industria, all’incentivazione dell’istruzione, fino alla capillare diffusione nelle campagne dell’assistenza sanitaria. Con l’arresto del Capo dello Stato, Atassi, di al-Jadid e di altri dirigenti a lui ostili, Assad cambiò rapidamente registro. Egli era espressione della ricca borghesia mercantile di Damasco e ne assunse decisamente la tutela degli interessi di classe, ergendosi ben presto a paladino del locale capitalismo. Assad “lasciava perdere la lotta di classe per allargare il proprio consenso nella società, conquistando i settori benestanti attraverso la liberalizzazione economica e politica. Il suo obiettivo prioritario era costruirsi una solida base di potere” (P. Seale, Il leone di Damasco). Così Assad provvede a restituire buona parte dei beni nazionalizzati, pone il sistema bancario siriano al servizio delle imprese private, favorisce i capitalisti locali attraverso misure finalizzate al rientro dei patrimoni che si trovano all’estero.
Le liberalizzazioni non produssero però gli effetti auspicati dal regime che si trova ben presto a fare i conti con la crescente disoccupazione, l’aumento della corruzione, la scalata di affaristi senza scrupoli alla direzione dell’economia siriana.
Nel 1982 in diverse città della Siria ed in particolare ad Hama, Assad si trova a dover fronteggiare una rivolta guidata dai Fratelli Musulmani. Il conflitto, dietro le apparenti motivazioni religiose celava uno scontro tra diverse fazioni della borghesia. Le famiglie industriali delle città sunnite (Aleppo, Hama e Homs) avevano subito le scelte di Assad che privilegiava la borghesia di Damasco ed ora, grazie al collante religioso, unificavano la loro ribellione con quella delle popolazioni urbane impoverite dai provvedimenti liberisti di Assad. Ne seguì un massacro che vide la morte di oltre diecimila rivoltosi e la riaffermazione del potere di Assad.
In politica estera Assad intervenne in Libano al fianco delle truppe falangiste cristiane per impedire l’affemazione delle forze progressiste palestinesi. Protette dalle truppe siriane, le formazioni falangiste massacrarono i palestinesi a Tall-el Zatar (3000 morti). Assad si assicurò, in cambio del suo ruolo di garante della stabilizzazione imperialista della regione, la decennale presenza delle truppe d’occupazione siriana in Libano con la conseguente affermazione degli interessi della borghesia siriana nella regione. L’occupazione del Libano frutterà alla borghesia siriana profitti per 2 miliardi di dollari l’anno (Libération 29/4/2005).
Sempre Assad senior sarà a fianco degli Usa nella prima guerra contro l’Iraq, conquistandosi un ruolo assolutamente servile nei confronti di Washington, ma garantendosi l’apertura di canali commerciali favoriti dalle liberalizzazioni, dallo sfruttamento delle risorse petrolifere, dall’afflusso di capitali “made in USA” e francesi.
L’ascesa al potere di Assad junior non muta il quadro sostanziale. Il governo siriano è sempre in cerca di un protettore imperialista. Prima ci prova con la Francia che aveva sempre avuto interessi strategici nella zona. Il fallimento degli accordi con Chirac comporta un “embrasson nous” con il nascente imperialismo russo. Per la Russia la Siria riveste un’importanza cruciale in quanto consente alla flotta russa di avere uno sbocco, l’unico, nel Mar Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Si creano le premesse per il protettorato di Putin, che si estende fino ai giorni nostri. Oltre alla base nel porto di Tartus Putin ha un chiaro interesse all’affermazione di Assad sulle ribellioni, presenti e future, di stampo islamico per evitare che si possano rivitalizzare focolai di rivolta in Cecenia: ben si spiega, quindi, l’intervento deciso a sostegno di Assad.
Apriamo uno sguardo sulla politica interna. La classe operaia, priva di coscienza e di organizzazione politica, è ridotta in condizioni servili. Il diritto di sciopero e di organizzazione sindacale è stato abolito dal codice del lavoro del 1985, mentre il codice del lavoro del 2010 istituisce piena libertà di licenziamento e sopprime le residuali garanzie a favore dei lavoratori. La disoccupazione, prima dell’attuale conflitto, era al 20%, mentre i salari nell’industria erano mediamente di 4500 livres (tre euro al giorno) ed in agricoltura erano ancora inferiori.
In agricoltura Assad ha completato l’opera di privatizzazione delle aziende agricole di Stato, concesse in gran parte ai vecchi proprietari, mentre alle imprese agricole è stato assicurata l’esenzione dalle leggi sul rispetto dei contratti di lavoro e sul possesso di valuta in cambio del trasferimento allo Stato di un quarto della produzione.
D’altronde, la chiara natura reazionaria del blocco di potere alla guida di Damasco ha una sua evidente proiezione nella nuova Carta costituzionale siriana approvata nel febbraio del 2012. Il paragrafo 4 dell’articolo 8 vieta – senza troppi giri di parole – l’organizzazione di qualsiasi attività politica, gruppo o partito “su base professionale”, ovvero di classe.
L’articolo 3, in barba alla leggendaria laicità della Siria di Bashar Al Assad, stabilisce che “Il presidente deve appartenere alla religione islamica”, la cui “dottrina giuridica è fonte principale della legislazione” statale.
Nel nuovo testo scompare poi del tutto il principio dell’istruzione completamente gratuita.
E per i più duri di comprendonio, Assad junior elimina tutti i riferimenti al “socialismo” – ancorché puramente nominali – presenti nella Costituzione del 1973.
Dalla parte dei ribelli?
Veniamo all’altra parte della tesi degli italici seguaci di Assad: “chi si schiera contro Assad si schiera con gli Usa e i “ribelli”. “E’ doveroso schierarsi contro gli Usa, a fianco di Assad aggredito e mobilitarsi ovunque su questa parola d’ordine” .

Questa tesi risponde al vero ? Vediamo un po’.
I “ribelli” (nelle diverse fazioni in cui si articolano, “nazionalisti”, “liberali”, Islamisti”) sono stati finanziati apertamente dagli Stati Uniti, dalle organizzazioni dell’estremismo islamista ed anch’essi, come Assad, lottano sulla pelle delle masse lavoratrici siriane, per affermare il proprio potere. Sono complementari ad Assad, complici anch’essi del massacro di un popolo, per gli interessi di stati capitalisti e delle borghesie locali.
Illuminante, al riguardo è quanto sostiene Edward Luttwak, consulente di primissimo piano della Casa Bianca, che afferma: “Dobbiamo aiutare i ribelli quando Assad sta per vincere, e frenarli quando stanno vincendo loro”. Anche il capo degli Stati maggiori Riuniti, Martin Dempsey ha espresso le sue perplessità sulla guerra anti Assad da parte degli Usa In fondo Assad ha svolto un ruolo utilissimo nella repressione dei Fratelli Musulmani e favorire la vittoria di una guerriglia che innalza la bandiera dell’islamismo non è certo una garanzia per Washington.
Non risponde certo a verità, d’altra parte, l’esistenza di un solo imperialismo, quello a stelle e strisce, contro cui occorre costruire una sorta di “Santa Alleanza”.
La Cina ha posto il suo veto alla guerra anti-Assad e non certo per ragioni umanitarie: al G-20 di Mosca il Vice Ministro cinese ha affermato che colpire Assad significava l’aumento del prezzo del petrolio e quindi avrebbe colpito la Cina, mentre la Russia non voleva perdere in nessun modo le proprie basi militari in Siria. Non è forse vero, del resto, che la Cina sta progressivamente colonizzando aree importanti dell’Africa sfruttandone brutalmente risorse naturali e manodopera locale e che la Russia finanzia indiverse parti del mondo fazioni in guerra per i propri interessi? Questo non è forse imperialismo?
E poi, l’aggressività statunitense dove ha portato? A ben vedere il nuovo millennio è caratterizzato da continui rovesci della politica militare americana rispetto agli obiettivi prefissati: le ritirate, dall’Iraq come dall’Afghanistan, si stanno concludendo senza alcun successo; anche in Libia le cose non sono andate secondo i piani originari; al governo Gheddafi è succeduta una situazione di anarchia politica e non certo la stabilizzazione gestita da un “governo amico” forte.
Ciò non toglie che gli Stati uniti e i loro alleati hanno interessi fondamentali nella regione, puntano al controllo delle forniture di petrolio e di gas naturale e devono tenere in conto le ragioni dei clienti del complesso militare-industriale americano, in primo luogo Arabia Saudita e Qatar. Da qui il loro impegno militare, che non si spingerà, comunque, fino al punto di innescare uno scontro bellico tra imperialismi, almeno nella fase attuale.
Dalla parte dei proletari!
E veniamo ora alla radicale amnesia di certa “sinistra”. E il proletariato che fine fa? Scomparso nel nulla! Carne da macello nella guerra tra le due fazioni della borghesia in conflitto. Certamente non è organizzato dai rivoluzionari e non ha una coscienza di classe e neanche della reale natura del conflitto. E allora? Certi benpensanti della sinistra lo eliminano e scelgono la concreta difesa degli interessi di una fazione borghese, di un imperialismo che si suppone meno cruento dell’altro (o, addirittura di Stati che acquistano un’improbabile patente di antimperialismo, Russia, in testa).
Noi comunisti pensiamo invece che in un conflitto interimperialistico, dove diverse fazioni borghesi si scannano per contendersi il potere, non ci sia nessun interesse del proletariato a sposare la causa di uno dei due schieramenti borghesi. Coerentemente non vi è alcun interesse a costruire mobilitazione al servizio di uno dei due imperialismi. I comunisti hanno il dovere di schierarsi inequivocabilmente contro entrambi gli schieramenti perché da essi non si devono aspettare altro che immiserimenti, sfruttamento, oppressione sociale. Né ha importanza che a sfruttare sia un padrone locale o uno con passaporto straniero.
I comunisti si schierano in maniera convinta e senza incertezze contro tutti gli imperialismi e contro tutte le borghesie, a partire da quelli di casa propria. Anzichè dare indicazioni, perdenti in partenza, su quale nemico servire, occorre promuovere risolutamente l’autonomia di classe del proletariato dalle diverse fazioni borghesi e sviluppare, in tutti i paesi, l’organizzazione rivoluzionaria, il partito comunista, per abbatterle tutte e, con loro, sconfiggere i loro protettori imperialisti.
Risuona più che mai attuale l’insegnamento della Terza Internazionale: contro la guerra tra stati, per la guerra tra classi, per la rivoluzione comunista! Non vi sono alternative di sorta!
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