viernes, 20 de enero de 2017

Il MES (Meccanismo europeo di stabilità)

Fonte: Mauro Poggi, 01/12/2013


In un recente storify Claudio Borghi rammenta, con giustificata irritazione, l’esistenza di un’entità europea chiamata  MES.

A dire il vero non sono sicuro che il verbo “rammentare” sia l’espressione più adeguata: si può rammentare solo qualcosa che già si conosce, e il MES – per la maggior parte di noi – è solo uno dei tanti acronimi di cui l’Europa è prodiga e di cui si ignora il significato. Insieme a LTRO, LFSF, Fiscal-compact, Two-packs, Eurogendfor e altri ancora, è solo uno dei tanti lemmi della neo-lingua europea, bizzarrie tecno-burocratiche, complicate ma in apparenza sostanzialmente innocue, davanti a cui il cittadino medio si ritrae pigramente, convinto che le cose importanti sono altrove. Una convinzione che i media assecondano con zelo, e contro la quale si levano solo le voci del web, che per loro natura non possono mai arrivare al “grande pubblico”.

Probabilmente “Fondo salva-stati” suonerebbe più familiare, ma il lodevole scopo che l’espressione sottintende è tale da indurre chiunque a darlo per assodato e a non indagare oltre. A chi non sta bene che gli stati vengano salvati?

Riepilogo allora per i più distratti.

Il MES, Meccanismo europeo di stabilità (o ESM per gli anglofoni) è un’organizzazione finanziaria intergovernativa sul modello del FMI,  sostitutiva del precedente EFSF (European Financial Stability Facility), con il compito di rispondere alle eventuali richieste di sostegno da parte di quei paesi eurozona che si trovano o dovessero trovarsi in difficoltà finanziarie.

Il sostegno, previo benestare di BCE e FMI, si concretizza in un prestito a titolo oneroso (interessi fissati dal MES, in base al mercato), ed è condizionato all’accettazione delle famigerate (chiedetelo alla Grecia) condizionalità teo-liberiste : privatizzazioni, deregolamentazione del mercato del lavoro, minimizzazione dello stato sociale, pesantissime limitazioni alla sovranità nazionale. Viene concesso inoltre con clausola di rivalsa sui beni della Nazione debitrice, ove questa non fosse in grado di rispettare i termini di restituzione.

Leggendo il Trattavo istitutivo del MES si trovano alcune sconcertanti singolarità.

All’art. 32, per esempio – relativo a status giuridico, privilegi e immunità – troviamo che:

Il Mes, con i suoi beni, proprietà e disponibilità, ovunque si trovino e da chiunque siano detenuti, gode dell’immunità da ogni forma di giurisdizione (art 32.3).

Non può essere oggetto di azioni di perquisizione, sequestro, confisca o esproprio, o di qualsiasi altra forma di sequestro o pignoramento derivanti da azioni esecutive, giudiziario, amministrative o normative (32.4).

Gli archivi del MES e tutti i documenti appartenenti al MES sono inviolabili (32.5)
I locali del MES sono inviolabili (32.6).

Nella misura necessaria allo svolgimento delle attività previste dal trattato, tutti i beni, le proprietà e le disponibilità del MES sono esenti da restrizioni, controlli o moratorie di ogni genere.

Se vi sembra poco, più avanti troviamo che:

Il presidente, i governatori e i governatori supplenti, gli amministratori e gli amministratori supplenti, nonché il direttore generale e gli altri membri del personale godono dell’immunità di giurisdizione per gli atti da loro compiuti nell’esercizio ufficiale delle loro funzioni,  nonché dell’inviolabilità per tutti gli scritti e documenti ufficiali redatti (art 35.1).

Il MES gode di esenzione da qualunque imposta diretta.

Tutte le retribuzioni ed emolumenti del personale MES sono soggette ad una imposta interna stabilita dal Consiglio dei governatori, che andrà a beneficio del MES stesso, e sostituisce qualunque altra imposta nazionale sul reddito.

Passando all’aspetto finanziario, il MES parte con una dote iniziale di 700 miliardi, da versare in cinque anni in ragione del 20% l’anno. Viene però stabilito un rapporto minimo del 15% tra capitale versato ed aiuti erogati, per cui i sottoscrittori potrebbero essere chiamati ad anticipare il versamento delle quote nel caso il rapporto superasse questo livello.

Il capitale, contrariamente a quanto potrebbe supporre un alieno proveniente da un mondo normale che volesse capire come funzionano le cose quaggiù, non è sottoscritto dalla BCE (la sola istituzione, ancorché privata, che in Eurozona può emettere moneta), ma dalle nazioni aderenti all’Euro.

Le quali, non potendo emettere moneta, devono farlo indebitandosi sul mercato finanziario alle condizioni che il mercato finanziario impone.

La quota di competenza italiana è del 17,9%, pari a 125,3 miliardi, pari a 25 miliardi l’anno.

A oggi, l’ammontare versato dall’Italia (ripeto per i distratti: indebitandosi-sul-mercato) sotto la voce “salva-stati”, è stato di 50 miliardi.

Più precisamente: 10 mld  erogati bilateralmente, circa 30 mld versati al precedente fondo EFSF, e 10 mld circa versati finora all’ESM. Si tratta di 50 miliardi a deficit, che sono andati ad aumentare il nostro debito senza essere entrati in qualche modo nel circuito economico.

Borghi, nello storify linkato, si sgola a ripeterlo: 50 miliardi 50.

Sostegno finanziario paesi UEM

Per avere un’idea di cosa rappresenti questa cifra, basta pensare allo psico-dramma a cui abbiamo assistito per finanziare 2 mld (dicesi miliardi due!) di esenzione IMU, per il quale il Governo “è stato costretto” a dare seguito, con l’aumento dell’IVA, all’ennesima manovra pro-ciclica.

Basta pensare che per mettere minimamente in sicurezza il territorio, della cui fragilità abbiamo conferma ogni anno alle prime intemperanze meteorologiche, si stima che dovrebbero essere impegnati, per iniziare, 40 miliardi, ma che la Legge di stabilità finanziaria ha stanziato a questo titolo 180 milioni in tre anni (180-milioni-in-tre-anni contro un fabbisogno-di-40-miliardi!).

Basta pensare che con un decimo di quell’importo ci sarebbero risorse sufficienti per mettere definitivamente fine all’agonica vicenda degli esodati, o non si sarebbe costretti a fare salti mortali per rifinanziare la cassa integrazione in deroga (provvedimento che Fassina ha recentemente annoverato fra i recenti successi del governo Letta).

Vale anche la pena sottolineare alcune grottesche implicazioni del meccanismo SME.

1) I paesi attualmente in difficoltà, quelli cioè che fanno ricorso al fondo salva-stati, devono contribuire anch’essi, pro-quota, al finanziamento dello SME. Come dire che  parte dell’aiuto che ricevono è costituita dalla loro stessa contribuzione, per la quale hanno dovuto indebitarsi sul mercato finanziario.

2) Degli aiuti erogati (ricordiamolo: a fronte di pesantissime condizionalità), solo pochi spiccioli finanziano misure di sostegno per l’economia. Lla maggior parte serve a ripianare i debiti del paese, ovvero per permettere alle banche di rientrare dei propri crediti. Questa spiega perché alcuni maligni preferiscono definirlo Fondo Salva-banche, ma si sa: nell’Europa delle priorità finanziarie le banche hanno valenza sistemica, i paesi no, la gente comune meno che mai.

3) I nostri 50 miliardi ( e i successivi che dovremo versare) servono a rimborsare crediti che  per la maggior parte appartengono a banche tedesche e francesi.

L’aspetto tragicomico sta poi nel fatto che quei 50 miliardi (2,45% del nostro debito, 3,2% del nostro PIL!)  devono essere finanziati, come il resto del nostro debito, attraverso successive emissioni di titoli: supponendo che ci si trovasse davanti a una mancata sottoscrizione dei titoli da parte del mercato, ci si troverebbe in situazione di inadempienza e si dovrebbe far ricorso allo SME. Il quale, per prestarci ciò che noi abbiamo versato, ci imporrebbe tutte le condizionalità che sappiamo.

Un’altra chicca: i fondi a disposizione dello SME, per il tempo e nella misura in cui rimangono inutilizzati, vengono reinvestiti in titoli di stato, però limitatamente a quei paesi che possono vantare un rating AAA. Vale a dire che parte di quei fondi, alla cui costituzione abbiamo contribuito indebitandoci, vanno a finanziare – indovinate –  il debito pubblico tedesco.

Mi chiedo se c’è del metodo in questa follia, o se c’è della follia in questo metodo.  Ma forse la domanda è: esiste ancora un po’ di ragionevolezza in Europa?

Un ultima considerazione. Nel 2012, sotto il governo a sostegno PD/PDL dell’eurolatra Monti, Parlamento e Senato hanno diligentemente votato l’adesione allo SME e diligentemente approvato il Fiscal compact, (oltreché, non dimentichiamolo, il pareggio di bilancio in Costituzione).

Dubito che la maggioranza dei peones che si è espressa a favore di tutto ciò abbia avuto consapevolezza di ciò che stava votando. Sicuramente nessuna possibilità di consapevolezza è stata offerta ai cittadini italiani, stante la totale assenza di informazione e dibattito su quotidiani e TV.

Eppure non stiamo parlando di inezie: l’adesione allo SME, abbiamo visto, comporta la necessità per lo stato di trovare 25 miliardi l’anno per i prossimi 4 anni; l’approvazione del Fiscal compact comporta l’obbligo di riportare il rapporto debito/PIL al 60% entro i prossimi vent’anni, il che – a meno di un’improbabile ripresa economica a tassi di crescita più che cinesi – rappresenta un ulteriore fabbisogno di 50-60 miliardi l’anno.

Cui vanno aggiunti gli 80-90 miliardi che dobbiamo mettere in conto per pagare gli interessi a servizio del debito, senza i quali non potremmo rifinanziarci.

L’allocazione a priori di 170 miliardi  a destinazioni improduttive mette definitivamente fine alla possibilità per lo Stato, chiunque stia al governo, di esercitare una qualunque politica di stimoli economici che non sia fumo negli occhi, e la dice lunga sul tenore che potranno avere le leggi di stabilità a venire.

Detta altrimenti, mette lo Stato, chiunque stia al governo, nell’impossibilità di fare politica.

E’ il famoso “pilota automatico” di cui si compiacciono i vari Draghi,  il “vincolo esterno” che gli autorevoli Scalfari invocano dalle pensose pagine delle Repubbliche.

E’ la folle neo-democrazia che questa Europa ci sta regalando.
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