martes, 12 de enero de 2016

MARXISMO E RELIGIONE di Ambrogio Donini*

Fonte: Sollevazione, 12/01/2016

Ambrogio Donini

Al netto del tentativo di assolvere i regimi staliniani dalle colpevoli persecuzioni ai danni di diverse chiese e sette religiose, questo intervento di Ambrogio Donini, uno dei più grandi studiosi di storia delle religioni, è davvero impeccabile. Riteniamo di fare cosa utile pubblicarlo, tanto più in tempi come questi segnati da una rinascita dei sentimenti religiosi alle diverse latitudini, anzitutto in terra islamica.

«La critica della religione, leggiamo in Marx, è «il presupposto di ogni altra critica» [1].

Attraverso la religione, nell’impossibilità di darsi ancora una spiegazione razionale della natura e della società, gli uomini hanno tuttavia preso contatto, sia pure in modo distorto, con la realtà che li circonda. La religione «non è altro che il riflesso immaginario, nella testa degli uomini, di quelle forze esterne che dominano la loro esistenza quotidiana», ammoniva Engels sin dal 1878, invitando allo stesso tempo la classe operaia a non lasciarsi trascinare, partendo da questa giusta analisi, sul terreno di una generica polemica antireligiosa [2].

Sarebbe ingenuo e fuorviante, infatti, trarre dal pensiero di Marx e di Engels la conclusione che ogni singolo aspetto dell’ideologia, e in particolare di quella religiosa – mito, rito, dogma, ordinamento sacerdotale – non sia che il riflesso immediato delle condizioni materiali di vita dell’uomo e delle basi economiche su cui poggia la società. Una volta nate da una determinanta struttura, anche le idee agiscono e reagiscono sulla realtà ambientale da cui hanno avuto origine, in un modo che può apparire, a un esame superficiale, addirittura «autonomo». Nella coscienza dell’uomo, nessuna ideologia si presenta direttamente legata ai dati materiali dello sviluppo storico e sociale che la condizionano; ma resta il fatto che senza un esame accurato, e ben documentato, di quelle basi obiettive, nessuna ideologia, e tanto meno quella religiosa, potrebbe trovare una spiegazione [3].

«La paura ha creato gli dèi»: così suona un frammento molto citato di un antico poeta latino, che si vuole di solito identificare con Lucrezio [4]. In questo assunto, che viene da lontano e per il suo vigore espressivo appare ben degno dell’autore del De rerum natura (il poema «Sulla natura»), c’è senz’altro un elemento di verità, suffragato da tutta una serie di dati sulla psicologia del primitivo. In tempi a noi vicini, il concetto è stato sostanzialmente ripreso da Rudolf Otto, teorico dell’idea del «sacro», che per conferire un valore autonomo all’irrazionale, nella storia delle religioni, ha fatto ricorso proprio alle categorie del «tremendo», del «fascinoso», del «numinoso», cioè del divino, da lui definite primordiali e collegate con i fenomeni naturali [5].

Tali considerazioni possono essere anche accettate, nelle loro linee generali, in quanto prima dell’insorgere della paura, del timore sacro, nessuna ipotesi di trascendenza poteva venire elaborata dall’uomo. Ma la paura di un padrone umano ha preceduto storicamente la paura dei padroni celesti. Soltanto allora, accanto alle forze della natura, sono entrati in gioco nuovi rapporti sociali, che sembrano dominare l’uomo, sin dalla nascita, con la stessa apparente necessità e incomprensibilità dei fenomeni atmosferici. La paura di fronte alla dura realtà dell’oppressione, dello sfruttamento, della povertà: ecco le vere radici sociali della religione, studiata nel suo sviluppo storico.

Il pensiero marxista, tuttavia, sin dalle sue prime enunciazioni, ha visto la religione non solo come il riflesso, nel campo dell’ideologia, delle condizioni subalterne in cui gli uomini sono sempre vissuti, e in gran parte continuano a vivere; ma anche come l’espressione di una loro protesta contro questa miseria reale, che non potrà scomparire sino a quando non saranno riusciti a trasferire nei loro rapporti sociali quella stessa razionalità che cercano di applicare nei loro rapporti con la natura. L’idea della religione come «sospiro della creatura oppressa» è già nel giovane Marx e giunge a piena maturazione, attraverso un ampio arco di tempo, sino agli ultimi scritti di Engels sulle origini del cristianesimo, pubblicati, tra il 1882 e il 1895, in alcune riviste tedesche e inglesi [6].

Nelle credenze religiose delle masse si esprime spesso un elementare bisogno di giustizia, di bontà e di felicità sulla terra. Nei movimenti religiosi più imponenti, come nel messianismo e profetismo ebraico, nei culti di «salvezza» del mondo orientale e greco-romano, nel cristianesimo dei primi secoli, nelle «eresie» medievali, nelle ricorrenti reviviscenza dell’islamismo, in molte delle sette protestanti nate sulla scia della Riforma e nei movimenti di libertà e di riscatto dei popoli già coloniali, oggi in via di sviluppo, si riflettono vere e proprie correnti rivoluzionarie, la cui efficacia permane, anche quando le aspirazioni delle masse sono deviate verso soluzioni ultraterrene, illusorie o addirittura reazionarie.

Parrebbe quindi superfluo mettere in rilievo che il marxismo non cerca di «sopprimere» la religione, come viene ingenuamente o interessatamente affermato nella polemica corrente, ma si sforza di spiegarla nelle sue origini e nel suo sviluppo, ben consapevole della funzione reale che ha sempre avuto e continua ad avere nella storia della società.

I marxisti non «aboliscono» né la religione, né il diritto, né la morale, né ogni altra esigenza della vita spirituale.

Essi constatano semplicemente che non esistono «verità eterne», in astratto; ma che quando cambiano le condizioni di vita degli uomini e i loro rapporti sociali, cambiano anche le loro concezioni, le loro idee. In una parola, cambia anche la loro coscienza. Così è stato nel primo passaggio dalle comunità preclassiste alle strutture fondate sulla schiavitù; così è stato al momento della transizione dall’età antica alla società feudale, quando le vecchie religioni del mondo mediterraneo furono sostituite dal cristianesimo; così è stato all’epoca della lotta rivoluzionaria della nascente borghesia, quando alla religione cattolica dominante si contrapposero le idee della riforma protestante, dell’illuminismo e della libertà di coscienza. Cambiamenti ancora più radicali avranno luogo con la fine dello sfruttamento della maggior parte degli uomini ad opera di un’esigua minoranza, dopo il passaggio del potere a una nuova classe dirigente e a nuove forme di sviluppo economico e sociale.

Ma le vecchie idee si dissolveranno soltanto quando saranno completamente scomparsi tutti i residui dei contrasti di classe e delle loro ripercussioni nelle coscienze degli uomini: processo, questo, che non solo non può essere effettuato con mezzi coercitivi, o in via amministrativa, ma richiede e richiederà un lungo periodo di evoluzione della convivenza sociale e dell’etica collettiva. I fondatori del socialismo scientifico ne erano ben consapevoli: Friedrich Engels, anzi, in uno dei suoi scritti più famosi, aveva coperto di ridicolo, accusandolo di voler «sovvertir la scienza», quel filosofastro tedesco dei suoi tempi, Eugen Dühring, il quale sosteneva che nella nuova società la religione avrebbe dovuto essere soppressa per decreto.

L’area del socialismo si è straordinariamente allargata nel mondo, dopo la rivoluzione dell’Ottobre 1917. In tutti questi paesi sussistono tuttora contraddizioni e ritardi, che sono il frutto di millenni di vita inquinata dagli egoismo di classe e dalle spinte alla violenza e alla sopraffazione e non cesseranno  che con l’ulteriore sviluppo delle forze produttive e del benessere materiale e spirituale di tutto il popolo.

Anche perché l’evoluzione di queste società non si svolge nel vuoto, ma in un mondo segnato da profondi antagonismi economici e nazionali e dalle minacce di una nuova spaventosa guerra, che di per sé alimentano le tendenze all’irrazionale il ricorso a spiegazioni di carattere immaginario, mitologico e ultramondano. Là dove è mancata, su questo terreno, una coerente educazione ideologica, come per esempio in Polonia, la persistenza di un clima religioso si è dimostrata più sensibile e l’influenza delle gerarchie sacerdotali non si è attenuata.

Le classi dominanti, in fondo, chiedono solo alla religione la difesa dei loro interessi terreni e spingono gli uomini a combattersi tra di loro su quel che li attende in un’altra vita, per poter continuare tranquillamente a sfruttarli in questa. Lenin, come è noto, in un articolo scritto nel corso della rivoluzione russa del 1905, spiegava già con grande chiarezza che «l’unità della lotta effettivamente rivoluzionaria della classe oppressa per crearsi un paradiso in terra» è ben più importante «dell’unità di opinione dei proletari sul paradiso in cielo» [7]. Gli studiosi più seri, che sappiano sottrarsi alle pressioni politiche e confessionali, riconoscono oggi che «l’interpretazione marxista del fatto religioso […] non è dovuta a una volgare ossessione antireligiosa [8]».

Si veda quel che è avvenuto nell’Unione Sovietica e negli altri Stati socialisti, dalla Cina a Cuba. Non solo le religioni tradizionali non sono state «abolite»; ma si è assicurata alle chiese la più completa libertà, e prima di tutto la libertà dall’obbligo infamante di servire di strumento alle classi dominanti per mantenere sottomessa l’enorme maggioranza della popolazione. Quegli stati non si occupano di problemi di teologia e di dogma, né hanno mai inteso dare una «forma nuova» alla religione: le loro preoccupazioni sono di ordine scientifico e culturale, strettamente laico. La campagna condotta in alcuni ambienti contro la politica religiosa dei paesi dell’area socialista, e in primo luogo dell’Unione Sovietica, non offre davvero un modello di obiettività e di chiarezza: si confonde, di solito, la popolarizzazione di una visione razionale e moderna del mondo che ci circonda con una precisa volontà di persecuzione nei confronti dei credenti e dei culti. È questo anche il caso della discussione che si è svolta anche in Italia, in tempi non troppo lontani, tra un gruppo di specialisti ben preparati, nel campo della storia delle religioni e dell’etnologia, raccolti intorno ad Ernesto De Martino: il meno che si possa dire, è ch’essa ha rivelato una scarsa conoscenza dei problemi che deve affrontare, oggi, l’intellettualità sovietica [9].

Il marxismo non è una religione, ma una concezione scientifica del mondo e della vita. L’ideologia socialista non ha scritto nel suo programma la parola d’ordine confusionaria della soppressione della religione, ma la parola d’ordine progressiva della soppressione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo».



* Tratto da Breve storia delle religioni, Roma, G. T. E. Newton, 1993


NOTE




[1] Vedi K. Marx – F. Engels, Sulla religione, Roma, Samonà e Savelli, 1969.

[2] F. Engels, Antidühring, III parte, cap. V (trad. it. Editori Riuniti, 19682)

[3] K. Marx – F. Engels, La concezione materialistica della storia, Roma, Editori Riuniti, 1974(specialmente pp. 59-77 «Sulla produzione della coscienza»).

[4] Primus in orbe deos fecit timor, ardua coelo – Fulmina cum caderent («Per prima al mondo la paura ha creato gli dèi, alla vista dei fulmini che si abbattevano dal cielo»). La paternità dell’intero passo è dubbia. All’alba del IV secolo, il retore cristiano Lattanzio l’attribuiva a Stazio o a un anonimo glossatore di Stazio (Tebaide, III, 661); a Petronio, un po’ più tardi, il grammatico africano Fulgenzio (Mythologiarum, I, 1, ed. Muncker, p. 11). La citazione, cara a Lenin, si trova già nelle Lezioni sull’essenza della relione di Ludwig Feuerbach.

[5] Il celebre saggio del teologo luterano tedesco Das Heilige, pubblicato nel 1917 con il motto goethiano «Nel brivido è il maggior bene dell’uomo», è tuttora alla base della cosiddetta «scuola fenomenologica» di storia delle religioni ed ha esercitato una notevole influenza sulle correnti modernistiche in seno alla Chiesa cattolica e tra molti studiosi moderni (G. van der Leeuw, C.J. Bleecker). In Italia, è stato tradotto nel 1926 da Ernesto Buonaiuti (R. Otto, Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, Bologna, Zanichelli, ristampato anche di recente). L’esperienza dell’Otto, si legge nella prefazione, «è stata ravvivata da una maturazione profonda delle correnti filosofiche, da Kant a Schleiermacher»: un po’ troppo, per una indagine che arriva alle stesse conclusioni dell’antica poesia latina.

[6] K. Marx, «Per la critica della filosofia del diritto di Hegel», negli Annali franco-tedeschi, pubblicati a Parigi nel febbraio 1844, e F. Engels, Sulle origini del cristianesimo, Roma, Editori Riuniti, 1975(con prefazione di A. Donini).

[7] V.I. Lenin, «Socialismo e religione», in Novaja Jizn, n. 28,16 (3) dicembre 1905 (trad. it. in V. I. Lenin, Sulla religione, Roma, Editori Riuniti, 19572).

[8] Ch. Wackenheim, La faillite de la religion d’après Karl Marx, Paris, Presses Universitaires de France, 1963, p. 326. Altrettanto non si può dire, ad esmpio, di massicce opere come l’Introduzione all’ateismo moderno di Cornelio Fabro, Roma, Editrice Studium, 1964 e degli innumerevoli scritti di Augusto Del Noce (vedi l’Unità del 7 dicembre 1973).

[9] La religione nell’Urss, a cura di A. Bausani, con prefazione di E. De Martino, nella serie I fatti e le idee delle edizioni Feltrinelli, Milano, 1961; efficace, anche se un po’ paradossale, la replica di Gianroberto Scarcia, «Enciclopedia sovietica e sensibilità religiosa», in Nuovi argomenti, nn. 59-60, nov. 1962-febb. 1963. Questi limiti, comuni a molti studiosi italiani e stranieri, non incidono però sui meriti specifici del grande etnologo, morto ancora nel pieno delle sue capacità di ricercatore (1908-1965).
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