viernes, 22 de enero de 2016

Nella casa dei Saud volano i coltelli (non è una metafora)

Fonte: Maurizio Blondet, 21/01/2016


Mohamed bn Nayef, successore in percolo
Il principe della Corona Mohammed bin Nayef, attualmente ministro dell’interno, ha tenuto colloqui segreti con i capi tribali del paese per prevenire la salita al trono   del principino “impulsivo” Mohammed bin Salman, il favorito figlioletto del regnante Salman, 29 anni.

E’ quanto ha rivelato “un importante attivista dei media saudita” all’agenzia persiana Fars. Bin Nayef, 56 anni, ha cominciato a prendere i contatti con i capi delle kabile avendo saputo che il re saudita avrebbe deciso di lasciare il trono al suo viziatissimo Bin Salman. Già il paparino – che soffre di demenza – ha nominato costui vice-primo ministro nonché ministro della difesa; il favorito giovanotto, per diventare principe ereditario al posto dell’odiato zio Bin Nayef, ha messo in atto uno sfrenato attivismo politico:
ha scatenato la guerra in Yemen, ha decapitato il rispettato sceicco Nimr al Nimr insieme ad altri 46 per rompere di brutto con Teheran (la bestia nera della Casa), ha intrapreso il ribasso del greggio per distruggere l’Iran e Putin (e gli americani) in quanto concorrenti, profonde mezzi per i jihadisti dell’ISIS per distruggere Assad e l’Irak; in queste imprese ha rovinato le finanze della monarchia wahabita, ma – pare acquistato un certo favore popolare.

E’ sempre stato lui che, secondo credibili voci, il 25 settembre scorso provocò l’immane calca con strage di La Mecca, avendo deciso di passare con il suo convoglio di centinaia di limousines e la sua modesta scorta di 200 soldati e 150 poliziotti, ordinò di chiudere due delle tre corsie in uso ai pellegrini per la cerimonia della lapidazione di Satana: da 700 a 4 mila morti, secondo le stime variabili, della folla spinta di lato e accalcata in uno spazio minimo, senza via d’uscita.

Il re Salman e il figlio preferito
Insomma, un tipo da far sembrare il dittatore nord-coreano Kim Jong Un, al confronto, un posato statista. Non è dunque strano che i principe ereditario Bin Nayef, 56 anni, avendo deciso di sbarrare il passo alle ambizioni del nipote, abbia preso accurate precauzioni: cambia d’improvviso percorsi e incontri programmati, metodi e composizione delle sue guardie del corpo; di rado visita la reggia; ancor più di rado dorme nei suoi (numerosi) palazzi, ma sta piuttosto nella magione del padre, situata in un’isola del Mar rosso, debitamente fortificata e molto munita di personale. Si sposta per lo più in elicottero e senza preavviso; se deve spostarsi su strada, si fa’ accompagnare da autoblindo e un’ottantina di fedelissimi armati. Passa il tempo ad ascoltare e telefonate della reggia, che gli vengono debitamente intercettate (è ministro dell’Interno, dopotutto). E fa’ bene, perché i principi rivali che aspirano a occupare il suo posto sono più d’uno. E’una bella famiglia, casa Saud; volano i coltelli, e non è una metafora.

Bin Nayef del resto è principe ereditario solo da aprile, quando il re Salman, appena salito al trono, ha licenziato il principe ereditario del precedente re, Muqrin bin ‘Abd al-‘Aziz Al Sa’ud (70 anni), suo mezzo fratello (ma figlio di una yemenita),  nominando suo successore (quando Allah vorrà) appunto Mohamed bin Nayef, nipote diretto del fondatore della dinastia, Ibn Saud.

Adesso Salman il demente pensa di mettere sul trono il figlio a cui le ha date tutte vinte, che sta conducendo “la politica di interventismo impulsivo” (la frase è in un rapporto del BND, i servizi tedeschi)   che ha reso notevole il regno wahabita in questi ultimi mesi: col risultato fra l’altro di irritare Washington – che vuole diventare un venditore di greggio e gas da scisti, quindi un concorrente –   e non lo sta appoggiando né nelle ostilità contro Teheran (che il saudita non osa attaccare in una guerra diretta: perderebbe), né nell’invasione contro gli Houti dello Yemen.

Anche questa guerricciola non sta andando bene per l’impulsivo   di papà. Domenica passata   gli yemeniti hanno centrato con un missile Tochka un centro operativo a M’rib uccidendo 120 mercenari di diverse nazionalità, 9 ufficiali sauditi e 11 degli emirati, nonché 11 stranieri della Blackwater – oltre a 6 elicotteri Apache e 4 Black Hawk; un disastro insomma   per l’esercito (se così si può chiamare) del figlio prediletto, anche se il materiale è subito stato riacquistato dagli Usa.

Poco prima, una fonte dei combattenti yemeniti aveva annunciato di ave”ucciso un ufficiale britannico della Blackwater nella regione di Al Wazaya in provincia di Taiz”, senza rivelare l’identità del morto. Nella stessa provincia, qualche tempo prima i guerriglieri avevano annunciato d aver ucciso altri mercenari Blackwater, fra cui un americano e un francese, nella loro base a Zobab. Il 23 dicembre, due britannici, un americano e un sudafricano eran caduti in una incursione sferrata a Zobab; il 9 dicembre, nella base di Al-Amri presso Bab el Mandeb erano stati uccisi 14 uomini della Blackwater, fra cui un britannico, un francese, un australiano, e sei colombiani. Così s’è saputo che gli Emirati, che partecipano alla guerra contro gli Houti su ordine dei sauditi, avevano ritirato le loro truppe (chiamiamole così: evidentemente non hanno trovato la guerra così facile come credevano) rimpiazzandole con mercenari latino-americani: 450 colombiani ma anche cileni, salvadoregni e panamensi, poveretti, reclutati dalla Blackwater che fa’ da consulente speciale a questi principini. Le perdite, come si vede, sono ingenti – troppo, per una forza mercenaria abituata a guadagna bene sparacchiando in Irak alle auto che passano


– sicché sembra che nella guerra siano fatti entrare, a pagamento, oltre a gente del Califfato, anche sudanesi ed eritrei.


Secondo molte voci, la dinastia regnante saudita è nel panico.   E sono cominciate le congiure di palazzo.
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